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La chiusura autistica

07-04-2023 12:47

Emidio Tribulato

AUTISMO, autismo chiusura,

La chiusura autistica

Le conseguenze dovuta alla chisura in se stessi sono devastanti per un bambinoi piccolo. Ma questa chiusura può e deve essere superata.

La chiusura autistica

Il bisogno di chiudersi in se stessi e allontanarsi dall’ambiente esterno, non è caratteristico soltanto dei bambini che presentano disturbi autistici. Tale desiderio o bisogno, che a volte si traduce in precisi comportamenti, lo ritroviamo, anche se in modo lieve, parziale e momentaneo, anche nei bambini normali di tutte le età, quando reagiscono, chiudendosi e isolandosi per qualche tempo, a causa di qualche grave ingiustizia subita o per l’impatto nella loro psiche di un ambiente eccessivamente stressante, frustrante o traumatizzante, così come lo ritroviamo in adulti che stressati e stanchi di certe condizioni ambientali ricercano delle situazioni di isolamento per riacquistare il benessere interiore perduto. 

L’isolamento autistico è tuttavia una condizione molto più grave poiché comporta l’autoreferenzialità assoluta, la negazione di tutto ciò che è differente da sé o si riferisce agli altri, la chiusura, parziale o totale, nei confronti del mondo esterno e, nei casi più gravi, anche nei confronti degli stimoli che provengono dall’interno della propria mente e del proprio corpo. 

Nei bambini molto piccoli, quando questi non riescono ad affrontare delle situazioni troppo dolorose per il loro sentire, si mette in moto un bisogno istintivo di difesa, che li spinge ad allontanarsi dalle persone e dall’ambiente che li circonda, inserendo tra loro e gli altri qualcosa, come un muro o meglio una barriera psicologica, che sperano li isoli, li difenda e li protegga da emozioni troppo intense e penose per essere sopportate dalla loro fragile psiche. Chiudendosi in se stessi, come in un bozzolo, mediante il distacco dal mondo che li circonda, questi piccoli cercano di raggiungere l’anestesia dei sentimenti e delle emozioni, così da impedire agli stimoli eccessivamente dolorosi che provengono dall’ambiente esterno di arrivare alla coscienza. 

Morello, un giovane che soffriva di disturbi autistici, che era riuscito a laurearsi in Scienze umane e pedagogiche, presso l’università di Padova, nel suo libro “Macchia, autobiografia di un autistico”, ha descritto, mediante l’uso del computer, le sue emozioni, i suoi ricordi e i suoi pensieri. In quest’autobiografia, mediante un linguaggio poetico e ricco di emozioni, così descrive questa condizione di chiusura verso il mondo esterno: ‹‹Cupola di vetro sopra laguna ghiacciata è l’autismo chiuso dentro se stesso››. 

Una donna con autismo: Temple Grandin, laureata in Scienze animali presso l’università dell’Illinois e professoressa lei stessa di scienze animali, descrive invece il suo stato mentale di chiusura autistica, utilizzando la similitudine dei pannelli di vetro. Questo simbolo è simile a quello usato dal Morello. Quindi non un muro opaco ma dei pannelli di vetro trasparente che, se da una parte proteggono dal mondo esterno permettono, se si vuole, di guardare fuori, senza tuttavia provare e soffrire di alcuna particolare emozione. Tuttavia, fa notare l’autrice come questa condizione sia anche una trappola dalla quale è difficile sfuggire. 

Donna Williams, un’altra donna che soffriva di autismo, aveva trovato da piccola altre strategie per fuggire dalla realtà e perdersi in un suo incantato mondo interiore:

Scoprii che l’aria è piena di puntini. Se guardavo nel vuoto c’erano i puntini. La gente mi passava davanti, ostruendo la mia visione magica del nulla. Io mi mettevo davanti a loro. Protestavano. La mia attenzione era saldamente fissata sul desiderio di perdermi in quei puntini e ignoravo la protesta, guardando dritto attraverso l’ostruzione con un’espressione calma, addolcita dell’essere io persa in quei puntini. 

L’autrice spiega che cosa provava in quella situazione psicologica particolare che lei stessa ricercava: 

In questo stato ipnotico potevo afferrare la profondità delle cose più semplici; ogni cosa era ridotta a colori, ritmi e sensazioni. Questo stato mentale mi dava un conforto che non potevo trovare in nessun altro luogo, a quello stesso grado. 

Abbiamo detto che questa tendenza a fuggire da una realtà avvertita troppo frustrante o dolorosa è presente anche in tanti ragazzi e adulti. Tuttavia questa istintiva, ma anche a volte voluta e ricercata decisione di fuggire dalla realtà, per trovare rifugio in un mondo tutto proprio, quando avviene in bambini molto piccoli comporta delle conseguenze molto più drammatiche, gravi e destabilizzanti, rispetto a quelle che possono essere vissute da dei ragazzi o dagli adulti. 

E ciò per diversi motivi. 

1.         I bambini molto piccoli sono privi delle capacità di omeostasi e di quelle efficienti difese presenti nell’Io dei ragazzi e degli adulti. 

Per tali motivi reagiscono al dolore emotivo senza alcun filtro e, quindi, in modo molto più intenso e immediato. 

2.         I bambini molto piccoli possiedono conoscenze minime del mondo nel quale si ritrovano a vivere e hanno uno sviluppo psichico fragile e immaturo. 

Pertanto quando fuggono, per un qualunque motivo, da un ambiente avvertito come intollerabile, si ritraggono dal mondo ancor prima che la loro umanità possa realmente venire alla luce.  In questa condizione non possono trovare in se stessi qualcosa di diverso che non sia la loro povera, instabile e fragile realtà del momento. Non possono certamente sperare di trovare, anche solo con la fantasia, in qualche altro luogo, in un’altra casa o in un’altra famiglia, quella serenità, quella pace e calore che cercano e sono indispensabili al loro sano sviluppo. Cosa che invece possono fare i ragazzi più grandi e, ancor meglio, gli adulti.

3.         La personalità dell’essere umano si struttura e si espande soltanto mediante un proficuo e costante contatto con gli altri. 

La prima infanzia non è altro che un graduale processo di costruzione della realtà. La consapevolezza di essa sorge gradualmente, mediante innumerevoli esperienze positive che provengono dall’ambiente di vita del bambino,  pertanto la maturazione e l’arricchimento della personalità degli esseri umani, che avverranno per gradi, si attuano prevalentemente mediante il dialogo e le relazioni con gli altri. Solo dai rapporti positivi con le persone care che abbiamo accanto a noi, riusciamo ad ottenere la serenità, le attenzioni, le cure e il dialogo necessari a sviluppare tutte le capacità umane, geneticamente presenti. Per tale motivo, nel momento in cui dei bambini molto piccoli istintivamente si estraniano dalla realtà per chiudersi in se stessi, il loro Io non avrà più la possibilità di crescere e svilupparsi normalmente e armoniosamente, pertanto sarà costretto a rimanere non solo immaturo ma anche molto fragile e in preda alle emozioni più disparate. 

 Ricorda Morello: 

Da piccolo non pensavo a cose mie e non credo di aver mai capito la differenza tra le cose mie e quelle degli altri. Quando ero piccolo, credevo di non esistere; pensavo di essere la coda della mamma e non capivo la sua continua insistenza perché facessi le cose a modo mio. 

Per tali motivi questi bambini, che si sono chiusi nel loro mondo interiore, avranno notevoli difficoltà ad affrontare in ogni momento le emozioni e le sensazioni sia interne sia esterne. Non potendo sviluppare le normali capacità di comunicazione e socializzazione, avranno difficoltà ad amare e farsi amare, saranno inadeguati ad accogliere e farsi accogliere, avranno notevoli problemi nell’accrescere in maniera equilibrata e armonica le proprie capacità comunicative, immaginative, intellettive e cognitive, sarà per loro difficile modulare in maniera corretta gli apporti sensoriali, avranno difficoltà a mettere ordine nelle idee e nei pensieri. 

Per Bettelheim: 

Una volta che il bambino ha smesso persino di comunicare con gli altri, il suo Io si impoverisce: ciò in misura tanto maggiore quanto più dura il suo autismo e quanto meno sviluppata era la sua personalità nel momento in cui si è manifestato questo blocco della comunicazione. 

Anche per Franciosi: 

Le esperienze di reciprocità, nelle prime fasi della vita, favoriscono lo sviluppo e l’integrazione dei sistemi deputati alla processazione e alla modulazione delle emozioni e gettano le basi per la futura capacità del bambino di connettersi e sintonizzarsi con altri esseri umani. 

E De Rosa: 

Tutto questo l’ho scritto per indicare e per illustrare che l’autismo non è solo una condizione: è esso stesso un trauma. Ogni limite che riduce la nostra capacità di gestire la realtà ci allontana dalla vita e diviene quindi un terrore di morte. 

4.         Il costante stato d’immaturità, nel quale vivono i bambini chiusi nel loro autismo, impedisce lo sviluppo di quei meccanismi compensatori e di difesa, presenti nei soggetti più maturi. 

Per tale motivo questi bambini saranno facile preda della tristezza e dell’angoscia, saranno costretti a soccombere alle ansie e alle paure, che potranno espandersi nel loro Io, senza incontrare difese efficaci e mature. Pertanto con facilità potranno svilupparsi nella loro mente instabilità, caos e confusione. In definitiva questi bambini, bloccati e limitati nel loro sviluppo affettivo e mentale a dei livelli primitivi, tenderanno a reagire in maniera insolita, eccessiva e sproporzionata, ogni qualvolta saranno stati costretti ad affrontare esperienze, sensazioni ed emozioni nuove e diverse che, a noi adulti, possono apparire semplici e banali o con modeste e accettabili cariche di ansia e frustrazione. Infine, si accentueranno in loro sia la fragilità psichica sia l’insicurezza emotiva.

5.         Poiché nei casi più gravi l’allontanarsi dalla realtà può riguardare tutto e tutti, questi piccoli non avranno quasi alcuna reazione nei confronti dell’ambiente che li circonda. 

In tali condizioni cercheranno di evitare anche di agire, poiché fare qualcosa potrebbe comportare delle reazioni negative da parte dell’ambiente circostante. Inoltre se questi bambini pensano che quello che succede, per qualche motivo, possa essere colpa loro, quanto più credono di essere loro stessi i responsabili di eventi generatori di effetti sgradevoli, tanto meno agiranno,  mentre aumenterà sempre più la loro insicurezza e la loro instabilità psichica. 

6.         Per le famiglie, l’assenza o l’inadeguatezza di risposte emotive appropriate nei propri figli sarà un’esperienza molto penosa e frustrante. 

Mancherà ai genitori la gioia e la gratificazione che nascono dalle relazioni affettive che s’instaurano con i propri bambini. I baci, le carezze, gli abbracci e le parole d’amore che i piccoli spesso rivolgono ai genitori sono, per questi ultimi, fonte di gratificazione, piacere e gioia e servono a mantenere e rinforzare il legame tra loro.  Ciò, a sua volta, servirà a migliorare la comunicazione genitori – figli, controbilanciando efficacemente la fatica e le preoccupazioni necessarie per allevarli. Quando purtroppo da parte dei figli viene attuata una fuga da queste fondamentali relazioni, può sopraggiungere nei genitori una consequenziale difficoltà relazionale, mentre il dialogo vero e profondo, a causa dell’accentuarsi dell’ansia e delle preoccupazioni, tenderà a peggiorare sia in quantità sia in qualità.

In definitiva, nel momento in cui i bambini si chiudono in se stessi, i loro problemi psicologici, piuttosto che diminuire, aumenteranno, poiché cresceranno in loro la diffidenza, l’ansia e la paura nei confronti di ogni stimolo proveniente dall’esterno ma anche dall’interno della loro mente e del loro corpo. Anzi, se vi era stata inizialmente una crescita normale, la chiusura che questi bambini sono costretti ad adottare, tenderà a impoverire e a destrutturare gradualmente la loro fragile e immatura personalità, per cui, anche se avevano già acquisito una qualche forma di linguaggio o qualche altra competenza, ad esempio, nel campo dell’autonomia personale e sociale, a causa del severo deficit presente nel loro sviluppo affettivo-relazionale che si è instaurato ed essendo vittime di processi regressivi, rischieranno di perdere anche queste competenze. 

Bettelheim descrive molto bene questo circolo vizioso nel quale si trova invischiato il bambino piccolo che si chiude in se stesso: 

Una persona profondamente angosciata può tentare di trovare un minimo di sicurezza riducendo dapprima il suo contatto con un mondo che, per l’appunto, la angoscia troppo. Nei casi più gravi può evitare del tutto tale contatto, perdendo ogni fiducia nelle proprie possibilità di trattare con gli altri esseri umani. Se il suo ritiro non è soltanto temporaneo, il soggetto può essere preso in un circolo vizioso nel quale l’angoscia lo porta ad allontanarsi dalla realtà e l’isolamento induce in lui un’angoscia ancora maggiore e quindi, in definitiva, un ritiro ancora più massiccio. A questo punto non fa più molta differenza che l’angoscia sia provocata da pericoli reali o immaginari oppure da processi psichici interni.   

Per Franciosi: 

D’altra parte, è quotidianamente sotto gli occhi degli esperti, clinici e genitori, quanto la disregolazione emotiva rappresenti uno dei fenomeni che meglio descrive l’esperienza autistica e quanto peso ha il ruolo giocato dalle risposte emotive disadattive e dai disturbi emotivi nella vita e nella salute mentale delle persone con autismo. 

Questo distacco e questa chiusura verso il mondo esterno, ma anche quest’alterazione e fragilità dell’Io, possono presentarsi in forme e gravità diverse. 

In alcuni casi, come in Marco, un bambino di tre anni, che ancora non parlava, era presente intensa paura e sfiducia, con conseguente allontanamento e atteggiamenti di difesa non solo nei confronti di tutte le persone estranee ma anche verso i compagni di scuola, gli insegnanti e persino verso il papà e i nonni paterni. Rimaneva in lui soltanto un legame, un attaccamento, nettamente patologico e simbiotico, nei confronti della figura materna. Questa, pur non essendo in quel momento una figura amata, rappresentava per il piccolo la sua unica, possibile e parziale ancora di salvezza, alla quale aggrapparsi per difendersi e trovare un minimo di controllo emotivo, nei confronti delle paure e delle emozioni terrifiche che lo attanagliavano. Pertanto si avvinghiava fisicamente a lei, alla presenza di altre persone, rifiutando di essere lasciato nei locali della scuola materna e in tutti gli altri luoghi che non fossero la sua casa. 

In questi casi Marco, anche se male, aveva ancora qualche possibilità di reagire all’ambiente, mediante le sue richieste e i suoi rifiuti e, se non accontentato, anche mediante le sue manifestazioni di rabbia, poiché riusciva a collegare la sua angoscia e la sua conseguente reattività e aggressività con il mondo esterno, con il quale restava in contatto, anche se in modo parziale.  Invece, nei bambini con sintomi più gravi di autismo, questo distacco può riguardare tutte le persone, compresi i genitori i quali sono soltanto “utilizzati” per raggiungere i propri scopi e i bisogni essenziali, come il mangiare, il bere o l’essere puliti.

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