Come descrivere dei genitori, dei familiari o degli educatori irritabili e collerici, se non paragonandoli ad un vulcano sempre in attività come il nostro monte Etna?
Quando questo imponente vulcano è in periodo di quiete, appare come un gigante buono e disponibile ad accettare tutto e tutti. Lo si può avvicinare tranquillamente. Sulle sue pendici si può sciare e si possono fare bellissime passeggiate e, tra i boschi che lo circondano si possono organizzare succulenti picnic. Addirittura, trasportati dai gipponi, ci si può spingere fin sul bordo dei crateri attivi, per effettuare delle foto suggestive, anche se raccapriccianti, dei fumi e del ribollire della lava nelle voragini sottostanti. In questi periodi di calma apparente, sembra che nulla di male possa mai succedere. Come spesso avviene nei vulcani sempre attivi questi, a volte per giorni, a volte per settimane o mesi, si limitano ad uno stanco borbottio, simile al russare di un gigante buono, mentre dal cratere esce soltanto qualche grazioso e vezzoso sbuffo di fumo bianco. In tali periodi, mentre i pullman dei turisti si arrampicano sulle sue vette e i contadini sono intenti a curare i pometi dai frutti saporiti e i vigneti rigogliosi, pronti a dare dell’ottimo, ricco vino, solo se si guarda bene il fondo del cratere, si vede la lava nera ribollire mentre si apre in frange rosso cupo. Ma questa, quando è visibile, é solo un’attrazione in più per i turisti che si limitano ad indicarla l’un l’altro o a fotografarla per provare un piccolo brivido da raccontare poi, ritornando nei loro paesi e nelle loro case, agli amici increduli, come dimostrazione di grande coraggio.
Ma poi, un bel giorno, senza alcun motivo apparente, almeno per noi profani, ecco improvvisamente la lava bollire più forte e diventare incandescente. Ecco la montagna scuotersi in boati e rombi spaventosi. Ecco fontane rosso vermiglio di lava sprizzare in alto a centinaia di metri di altezza, per poi colare dalla bocca del vulcano e invadere sentieri, strade, case, vigneti e strade sottostanti, tutto distruggendo, tutto, coprendo, tutto, bruciando. Insieme alla lava non è raro vedere lanciati a centinaia di metri di distanza, come da una mano gigantesca, pietre infocate e lapilli piccoli quanto un pugno o massi grandi quanto un’auto. Ma non basta. Per alcuni vulcani, i più cattivi, vi è il rischio che quei piccoli refoli di fumo bianco si trasformino in pochi minuti in una nuvola di gas incandescenti che arriva al cielo e poi si riversa fino a valle a chilometri di distanza, avvelenando e bruciando ogni cosa che incontra sul suo selvaggio cammino.
È difficile vivere accanto o ai piedi di un vulcano, così com’è difficile vivere accanto a delle persone, specie se sono i propri genitori, facilmente irritabili. Basta poco per farli andare in collera. Basta poco per farli esplodere in grida ed invettive furiose. Basta poco per sentirsi da loro aggrediti, insultati e a volte picchiati. È difficile parlare con questi adulti in quanto, se a volte sono disposti ad accettare anche le critiche più pesanti, altre volte, in altre circostanze, qualunque frase, qualunque parola anche la più innocente, può far esplodere la loro irritazione, rabbia e aggressività. In queste occasioni, che possono essere più o meno frequenti, si è costretti a subire gli eccessivi rimproveri, gli improperi o peggio le ingiuste punizioni. Non sono solo gli elementi esterni a provocare gli scoppi d’ira ma questi nascono dalle profonde ferite mai rimarginate del loro cuore. Pertanto gli stimoli esterni sono solo l’occasione, mediante la quale l’aggressività accumulatasi nell’animo ha la possibilità di manifestarsi apertamente.
Già il neonato è costretto a subire gli altalenanti comportamenti di questo tipo di genitori. A volte la sua mamma o il suo papà sono sereni, tranquilli, capaci di mille moine e tenerezze. Un momento dopo possono comportarsi in modo aspro, scostante e ruvido. .
Quando il bambino cresce in un ambiente così difficile e traumatico, avrà notevoli difficoltà ad intraprendere dei legami fruttuosi con gli altri, in quanto gli mancheranno i parametri indispensabili per stabile dei limiti e dei confini alle sue azioni. Non vi sono comportamenti corretti da cui aspettarsi una lode e comportamenti errati da cui attendersi un sonoro e aspro rimprovero, ma momenti. Momenti di calma apparente in cui tutto è possibile fare e dire senza che nulla succeda e altri in cui non c’è nulla di buono e di valido che si possa dire o fare per evitare che insorga la collera immotivata. Questo tipo di rapporti è improntato a volte alla paura, altre volte all’ansia, oppure alla chiusura e al silenzio, per evitare che una qualunque parola o azione possa scatenare una furente reazione. Anche in questo caso, se accanto ad un genitore irritabile ve ne è un altro equilibrato e tranquillo vi sarà, nell’ambito della famiglia, come un rifugio nel quale il figlio può trovare riparo. La situazione sarà molto più grave se il bambino può contare su un solo genitore o se l’altro elemento della coppia ha le stesse caratteristiche negative.
Il racconto che riportiamo è di una bambina che viveva in una famiglia nella quale il padre, disoccupato, evitava per quanto possibile di farsi coinvolgere dai problemi familiari ma, quando si accorgeva che la moglie ed i figli avevano dei conflitti e gridavano, esplodeva aggredendo sia la consorte che i figli. La madre, d’altra parte, si descriveva come una donna molto ansiosa ed irritabile, che aveva instaurato un pessimo rapporto con i suoi bambini, specie con Francesca, con la quale litigava spesso.
Francesca e le automutilazioni
“C’era una volta una signora di nome Nicoletta. A questa piaceva andare nel giardino dove vi erano tanti fiori. Lei li staccava e li metteva dentro i vasi. Un giorno andò in un mercato e comprò delle scarpe lucide con delle perline, una maglietta e un pantalone e poi ritornò a casa a preparare il mangiare. Un giorno suo figlio andò da un macellaio, si fece dare il coltello, entrò in bagno e si tagliò il culetto. La mamma gli disse di andare a comprare un altro chilo di carne e lui si è tagliato l’altro pezzo di culetto e poi si è tagliato anche il braccio”.
Questo truce racconto evidenzia il grave conflitto e l’atmosfera costantemente aggressiva esistente nell’ambito familiare. Nei confronti della madre la bambina, indirettamente manifesta un giudizio molto severo, quasi feroce. Nel racconto che la bambina fa vi è una donna che vive la sua vita serenamente e tranquillamente, raccogliendo fiori e facendo spese voluttuarie (A questa (signora) piaceva andare nel giardino dove vi erano tanti fiori. Lei li staccava e li metteva dentro i vasi. Un giorno andò in un mercato e comprò delle scarpe lucide con delle perline, una maglietta e un pantalone). Questa signora, però, sembra non accorgersi minimamente di quanto avviene nella sua famiglia e a carico dei suoi figli (Un giorno suo figlio andò da un macellaio, si fece dare il coltello, entrò in bagno e si tagliò il culetto. La mamma gli disse di andare a comprare un altro chilo di carne e lui si è tagliato l’altro pezzo di culetto e poi si è tagliato anche il braccio.)
Un grande desiderio
Roberta, di anni otto, che aveva una madre la quale tendeva facilmente ad accusarla di ogni malefatta e pertanto la sgridava frequentemente e vivacemente, affida i suoi desideri ad un disegno nel quale, dietro a delle rose piene di spine: la sua madre attuale, bella certamente ma irritabile e aggressiva, spiccano le montagne che hanno la forma di un morbido seno, che rappresenta il suo sogno ed il suo più grande desiderio: potersi relazionare con una madre accogliente, dolce ed affettuosa.
Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" -(Volume unico)