Così come per la madre, anche per il bambino il momento della nascita è un momento difficile, anzi, per alcuni versi, può essere vissuto come un momento traumatico. Per la donna, soprattutto se primipara, questo evento tanto sognato, ma anche tanto temuto, può rappresentare uno dei momenti fisicamente più dolorosi e impegnativi della propria vita e una fase di svolta nella propria esistenza. Il mettere al mondo un figlio è anche un momento importante per verificare varie capacità e qualità: di saper ben gestire il dolore e la sofferenza fisica, di provare a controllare le ansie e le paure, di saper ben accogliere una nuova vita umana ed infine di riuscire a fare accettare questo bambino al proprio marito o partner, ai propri genitori.
Ma anche per il figlio è un momento difficile. Per questi è sicuramente penoso lasciare qualcosa di molto morbido e caldo per un ambiente sgradevole e freddo. È faticoso abbandonare un ambiente sereno, tranquillo e ovattato, per entrare in un ambiente rumoroso e caotico come il nostro mondo. Non è agevole iniziare ad assumere ossigeno e cibo dall'esterno. È complicato comunicare con gli altri esseri umani, essendo fornito soltanto di rudimentali mezzi di dialogo. Tuttavia, sia la madre sia il bambino, se rientrano in quella fascia molto ampia che noi chiamiamo “normalità” sono pronti e preparati ad affrontare tutto ciò. Anche perché la natura e l'ambiente dovrebbero aver fornito all'una e all'altro gli strumenti idonei per fronteggiare e superare queste e tutte le altre difficoltà che si presenteranno inevitabilmente nel futuro.
Il mondo del neonato
Con il giudizio e la mentalità degli adulti è difficile capire quanto sia problematica la condizione di un neonato. Questi è un essere straordinariamente impotente, sprovveduto di mezzi, dipendente e in certo qual modo, come abbiamo detto, “incompiuto” (Osterrieth, 1965, p. 27).[1] Pertanto è arduo e delicato il compito dei genitori ed in particolare delle madri, nello stabilire una buona, efficace e duratura relazione con il loro piccolo. I motivi di queste difficoltà sono tanti.
- Per il neonato la madre è il mondo intero.
Il mondo degli adulti è ricco, ampio e variegato. Nel mondo degli adulti vi è il lavoro ed il tempo libero, vi sono gli amici e la famiglia, gli amori ed le passioni, lo sport ed il gioco, gli spettacoli e la cultura, la religione e la politica. Il mondo del neonato è piccolo e indifferenziato. Le componenti affettivo-relazionali che danno spessore e calore alla vita si riducono a una e una sola persona: la propria madre. Pertanto, nel neonato, il rapporto con la figura materna è totalizzante, in quanto questa rappresenta il mondo intero, ma anche se stesso. Se la madre è ansiosa, o peggio angosciata, questa sua tensione produce angoscia nell’infante (Sullivan, 1962, p. 59).[2] Se la madre è serena e felice, questa condizione di serenità e gioia si rifletterà sul bambino. La madre, quindi, si confonde con il figlio dal quale è avvertita come parte di sé. Poppando egli assorbe la madre quasi perdendosi in lei. Amando le sensazioni gradevoli che la madre gli procura, egli ama se stesso e lei nel medesimo tempo, cosicché la madre è il suo Io fin quando questo non si è costituito.
- I bisogni del bambino, per essere soddisfatti, necessitano di un’altra persona.
Caratteristica del neonato è la sua impotenza e la sua completa dipendenza dalla madre. Senza che qualcuno si occupi di lui, morirebbe. L’adulto organizza l’ambiente nel quale vive in modo tale che possa soddisfare i suoi bisogni. Egli va al supermercato a fare la spesa e sceglie i prodotti che desidera o che gli sono congeniali in quel momento ed in quella situazione. Ha la possibilità di diminuire la sua sofferenza, selezionando la o le persone e i mezzi più opportuni. Il neonato non può fare nulla di ciò. Egli non può camminare da solo, non può nutrirsi da solo, non ha la possibilità di cercare i mezzi per diminuire il suo disagio. Sono gli altri che hanno il compito di scegliere per lui, interpretando i suoi bisogni. Egli può solo segnalare, con i pochi mezzi che ha a disposizione, la sua condizione di gioia e soddisfazione o al contrario il suo malessere, la sua insoddisfazione o la sua collera.
- Un neonato non ha la possibilità di capire la causa della sua sofferenza e di porvi rimedio.
Un adulto riesce a comprendere i motivi della sua sofferenza, soprattutto se questa proviene dall’ambiente esterno. Quando un suo genitore o una persona cara si ammala, quando l'amore della sua vita lo delude, quando l'amico più caro lo tradisce, quando un conflitto all'interno della famiglia squassa il suo animo, egli ha la consapevolezza delle cause dell'angoscia che l'opprime. Quando la sua sofferenza proviene dall'intimo del suo animo, anche se non ne conosce la causa, sa almeno da dove proviene la sua angoscia. Pertanto, quando riesce ad individuare la o le cause, egli ha la possibilità di cercare e poi trovare i rimedi più opportuni in un buon psicologo o psichiatra, in una relazione più efficace e gratificante, in un farmaco utile per il suo malessere, nello sport e così via. Un neonato non può fare nulla di tutto ciò. Per alleviare la sua angoscia egli è costretti ad affidarsi totalmente alle persone che gli sono vicine e che hanno cura di lui.
- Il neonato non può scegliersi l’ambiente più idoneo.
Noi adulti possiamo, entro certi limiti, sceglierci le persone, gli animali o gli oggetti a noi più congeniali o che maggiormente soddisfano i nostri bisogni. Se un amico o un gruppo di amici ci delude, non ci gratifica sufficientemente, non si dimostra attento verso le nostre richieste ed i nostri desideri possiamo, anche se con difficoltà, cambiarli con altri. Così come possiamo cambiare fidanzata, e con il divorzio o la separazione, possiamo anche sostituire il compagno o la compagna della nostra vita. Per il bambino tutto ciò non è possibile. Egli è costretto ad accettare l’ambiente dove la natura l’ha inserito. Egli è costretto ad accettare quella madre, quel padre, quei fratelli e quei nonni che il destino gli ha fatto trovare e gli ha posto accanto.
- Il neonato non può scegliere il luogo in cui vivere.
Noi adulti possiamo, a seconda della nostra indole, in base ai nostri personali gusti e bisogni del momento, scegliere di abitare in campagna piuttosto che in città e, se abbiamo scelto la città, possiamo abitare al centro o in periferia. Possiamo, quindi, optare per un ambiente vivace, anche se rumoroso, oppure per un ambiente tranquillo e silenzioso. Il neonato non può fare ciò. Pertanto, la quantità di frustrazioni che può essere costretto a subire è molto alta.
- Il neonato non può modificare l’ambiente intorno a lui.
Noi adulti possiamo, almeno in parte, modificare l’ambiente che ci circonda. Se c’è troppa luce possiamo abbassare le tapparelle. Se c’è troppo caldo possiamo aprire la finestra o accendere l’aria condizionata. Se una sedia è scomoda possiamo sederci su un comodo divano. Se un indumento ci provoca fastidio o prurito possiamo cambiarlo con un altro. Il neonato non può fare nulla di ciò.
- Il neonato può modificare molto poco l’atteggiamento delle persone che stanno vicino a lui e che con lui si relazionano.
Spiegando il perché del nostro malessere e qual è il modo migliore per farci sentire bene, possiamo chiedere agli altri di modificare il loro comportamento nei nostri riguardi. Una moglie può dire al marito o al compagno: ‹‹Ti prego, non gridare, parla a voce bassa››, ‹‹Quando ritorno a casa stanca e nervosa, ti chiedo di non assalirmi con i tuoi problemi››, ‹‹Sono nervosa e triste, tienimi stretta a te, abbracciami forte, fammi sentire protetta e sicura››. Il neonato non può fare ciò. Per cui, quando la persona che si prende cura di lui manifesta atteggiamenti e comportamenti poco idonei non può modificarli, se non comunicando il suo dispiacere o disappunto. Né il bambino ha alcun mezzo per alleviare lo stato d’animo negativo fatto di angoscia, tristezza, collera o rabbia di chi ha cura di lui, per cui, direttamente o indirettamente, rischia di rimanerne coinvolto nei sentimenti e nelle emozioni negativi degli altri.
- Il neonato ha rudimentali mezzi di comunicazione.
Noi abbiano una grande varietà di strumenti di dialogo. Quando abbiamo la necessità di comunicare ad altri i nostri bisogni, le nostre necessità, i nostri desideri ma anche i motivi della nostra inquietudine e collera, possiamo farlo verbalmente, per iscritto, con l’uso della gestualità e così via. I mezzi che può usare un neonato sono scarsi e rudimentali. ‹‹Io non mi agito, non piango, dormo tranquillo: io sto bene››. ‹‹Io piango, strillo, agito le manine ed i piedini, sono rosso in viso: io sto male››. Ma l’intensità, la o le cause, ed i possibili rimedi di questo malessere, possono soltanto essere percepiti, interpretati, compresi e scoperti, solo da una buona madre o da un buon gruppo familiare che sa ben utilizzare l’empatia, l’istinto, l’esperienza e le conoscenze acquisite.
- Il neonato non ha esperienze da utilizzare.
Se nostra moglie ritarda, per cui non possiamo metterci a tavola e pranzare, conoscendo il carattere di lei, che spesso ci fa aspettare, o i problemi che le dà il suo lavoro, tanto per alleviare i morsi della fame, possiamo aprire il frigo e fare uno spuntino con quello che troviamo, oppure, armati di santa pazienza, possiamo aspettare che torni in quanto sappiamo quanto dura, di solito, il suo ritardo. Il neonato, non conoscendo le abitudini ed i problemi della madre, se questa ritarda a dargli da mangiare, può facilmente pensare che sia scomparsa o che non abbia alcuna voglia di soddisfare i suoi bisogni e, quindi, che non vi sia alcun essere umano che possa alleviare la sua fame. E ciò lo terrorizza e lo sconvolge.
- Un neonato ha scarse difese psicologiche.
Una situazione è stressante a seconda del livello di sviluppo raggiunto: maggiori sono la maturità dell’individuo e la sua età cronologica o mentale, migliore sarà il suo comportamento di fronte ai traumi e agli stress. Da ciò si deduce che se un adulto maturo e sereno riesce a metabolizzare una notevole quantità di situazioni stressanti, ciò non può fare un neonato, in quanto non ha ancora sviluppato dei sistemi difensivi efficaci. Pertanto ogni cosa che esula dal normale contesto può notevolmente allarmarlo.
- Nel neonato l’emotività prevale sull’emozione.
Nell’adulto le emozioni sono, almeno in parte, controllate e gestite. Nel bebè e nel bambino piccolo, a causa della immaturità del suo sistema nervoso, l’emotività prevale sull’emozione, tanto che, a questa età, le reazioni emotive non hanno sempre una causa nettamente spiegabile. Pertanto possono essere notevolmente sproporzionate, rispetto alle cause e possono diffondersi e sopirsi bruscamente senza apparente ragione. Il bambino gioisce al massimo come al massimo diventa triste. I fenomeni affettivi hanno, quindi, un modo di manifestarsi improntato a caratteristiche di globalità, elementarità e indifferenziazione. Non hanno il carattere fisso e convenzionale che troviamo nell’adulto, poiché scaturiscono da una struttura psichica molto meno controllata, non socializzata, non matura, in cui difettano ancora ragionamento e capacità di rappresentazione. Per di più la sua psiche ha ancora scarsi elementi in memoria, pertanto è dominata dal momento presente (Osterrieth, 1965, p. 60).[3] Solo più tardi il piccolo essere umano capisce che una soddisfazione può essere ritardata, senza per questo essere negata o che una frustrazione può essere del tutto momentanea e comportare compensazioni successive, per cui può momentaneamente frenare i suoi bisogni insieme alla sua impetuosità o alla sua collera.
- Per il neonato il mondo attorno a lui è un luogo sconosciuto.
Noi adulti sappiamo cosa vi è nella stanza accanto a quella in cui siamo, cosa vi è fuori della nostra casa, al di là della nostra città. Sappiamo anche cosa succede dall’altra parte del mondo, anche solo per averlo visto in foto o in tv. Il bambino piccolo non sa quasi nulla del mondo che lo circonda. Se la madre o chi ha cura di lui sparisce dalla sua vista può pensare che sia scomparsa del tutto. Se piange perché ha fame o sete e nessuno viene a consolarlo e a soddisfare i suoi bisogni, può pensare che sarà sempre così e che rischierà di morire. È questo il motivo per cui ai bambini piace dormicchiare in una stanza con qualche rumore di sottofondo, piuttosto che rimanere soli e al buio in una stanza lontano dai genitori. Questi piccoli rumori lo tranquillizzano della presenza dei suoi genitori e gli fanno capire che di non essere abbandonato.
Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" -(Volume unico)
Per scaricare gratuitamente questo libro clicca qui.
[1] Cfr. P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Op. cit., p. 27.
[2] SULLIVAN H. S., Teoria interpersonale della psichiatria, Milano, Feltrinelli Editore, 1962, p. 59.
[3] Cfr. P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Op. cit., p. 60.