Facciamo in modo che la scuola apporti solo elementi positivi ai bambini e agli adolescenti che le sono affidati.
Poche istituzioni, come la scuola, sono servite a cambiare il corso dell’umanità.
Alla scuola sono riconosciute quattro funzioni principali:
una funzione culturale;
una funzione educativa;
una funzione socializzante;
una funzione di preparazione all’inserimento lavorativo.
- 1. Funzione culturale.
Mediante l’istituzione scolastica vi è un luogo specifico nel quale sono rese possibili la ricerca, la scoperta, e la valorizzazione di ogni tipo di conoscenza proveniente dalle fonti più varie. Ed è sempre mediante la scuola che è possibile diffondere i contenuti culturali ad un numero vastissimo di esseri umani di ogni età, sesso, luogo, razza, ceto sociale. In tal modo, mediante questa benemerita istituzione, si è attuata l’alfabetizzazione di massa, ma anche la diffusione di una lingua comune per un gran numero di nuove generazioni e per intere popolazioni. Ciò ha consentito un maggior dialogo tra popoli diversi per cultura, lingua, usi e costumi. Con la frequenza della scuola ogni bambino e ogni giovane hanno la possibilità, mediante i libri di testo, di incontrare e confrontarsi con le più diverse e varie esperienze e conoscenze provenienti da eccelsi studiosi, pensatori, poeti, scrittori, musicisti e matematici di ogni parte del mondo, di ogni lingua e di ogni cultura.
- 2. Funzione educativa.
Accanto a questa funzione non è da sottovalutare la dimensione educativa. Nella scuola è data la possibilità ai minori di incontrare giornalmente, al di fuori dell’ambiente familiare, altri adulti capaci di ascolto, dialogo, accoglienza, attenzione e cure. L’insegnante è l’adulto con il quale il bambino può scambiare le idee e i concetti che in lui, gradualmente, vengono a maturarsi. Per molti minori alcuni insegnanti particolarmente vicini e capaci di dialogo, sono anche dei modelli ideali da introiettare insieme alle figure genitoriali o in loro sostituzione, quando queste ultime appaiono scialbe, assenti o abbiano instaurato, con il minore, dei rapporti scarsi, conflittuali, difficili o penosi.
- 3. Funzione socializzante.
Quando il suo centro di interessi si sposta progressivamente dall’ambiente familiare al gruppo dei coetanei, la scuola permette al bambino di vivere alcune ore della giornata in un ambiente diverso rispetto a quello familiare, ma sufficientemente protetto e ricco di stimoli alla socializzazione. Nella scuola, infatti, ai minori è data la possibilità di un gran numero di incontri con altri coetanei con i quali possono essere scambiati pensieri, opinioni e con i quali è possibile instaurare rapporti di conoscenza o di profonda amicizia. Anche il gruppo scolastico, infatti, può rappresentare uno strumento educativo e pedagogico di primaria importanza, così come il gruppo spontaneo nel quale il bambino si inserisce nell’ambito del suo quartiere se, da parte della scuola, l’amicizia ed il legame profondo e stabile tra gli allievi sono valorizzati e non sviliti o temuti. Questa potenzialità socializzante, infatti, viene spesso sprecata o compromessa nel momento in cui gli insegnanti, pur di avere sempre dei bambini attenti e collaborativi, ‹‹che non chiacchierino tra di loro››, tendono a disgregare i gruppi che spontaneamente si formano piuttosto che favorirli. Altre volte vi è quasi la paura che si instaurino dei forti legami di amicizia e di dialogo intenso tra due o più alunni, in quanto si preferirebbe raggiungere l’ambizioso, ma spesso impossibile obiettivo, che tutti siano amici di tutti. Per ottenere questo scopo si attua una continua rotazione tra i compagni di banco che impedisce o limita molto la possibilità di instaurare delle vere e profonde amicizie, mentre stimola soltanto l’abitudine a rapporti superficiali saltuari e banali. Rapporti questi che incidono pochissimo sulla maturazione dell’allievo.
- 4. Funzione di preparazione all’inserimento lavorativo.
Mediante la scuola è possibile diffondere delle conoscenze ed esperienze di tipo professionale utili, se non indispensabili, per un futuro impiego lavorativo.
Possibili effetti negativi della scuola
Dopo aver brevemente accennato ai benéfici apporti della scuola, non possiamo però non descrivere anche le conseguenze negative sulla vita affettiva dei minori che si determinano quando questa utilissima istituzione manca dei requisiti indispensabili o non è utilizzata e gestita in maniera corretta.
Possibili conseguenze negative nell’ambito scolastico si possono avere:
- Quando il reclutamento e la selezione del personale docente non avviene in maniera ottimale.
- Quando gli insegnanti sono sottoposti a stress eccessivo.
- Quando il servizio scolastico è utilizzato in maniera abnorme.
- Quando l’inserimento scolastico avviene in modo precoce o poco adeguato.
- Quando il tempo trascorso nelle aule scolastiche è notevole.
- Quando non sono rispettati i fisiologici ritmi di impegno, svago e riposo.
- Quando la scuola e le attività didattiche si inseriscono in modo invadente e prioritario nella vita dei minori.
- Quando il gruppo classe deve affrontare problemi più gravi e pesanti rispetto alle sue possibilità.
- Quando è presente un’ eccessiva competizione.
- Quando la scuola non riesce ad attuare un rapporto ed un insegnamento individualizzato.
1. Quando il reclutamento e la selezione del personale docente non avviene in maniera ottimale.
I requisiti di una scuola dovrebbero riguardare non solo gli spazi sufficientemente ampi e luminosi, l’arredamento funzionale, gli adeguati strumenti didattici a disposizione dei docenti e degli allievi ma, soprattutto, tali requisiti dovrebbero concernere le caratteristiche del personale docente e non docente. Gli insegnanti dovrebbero possedere delle peculiarità molto vicine a quelle richieste a un buon genitore. Pertanto dovrebbero essere accuratamente selezionati, così da mettere accanto ai bambini solo adulti che possiedano buone doti di maturità, stabilità emotiva, gentilezza, pazienza, comprensione, buon umore e capacità di affetto nei confronti degli allievi. I minori si aspettano, inoltre, che gli insegnanti abbiano anche una buona preparazione psicologica, indispensabile nell’azione educativa tesa a prevenire ed eliminare determinati disturbi degli alunni ma anche fondamentale nella normale attività d’insegnamento.[1] Per BASSI ‹‹L’attitudine dell’insegnante non incide quindi solo sul profitto scolastico del fanciullo, sulla sua disciplina in classe, ma anche sulla formazione dei modi di comportamento individuali e sociali, quindi sullo sviluppo della sua personalità››.[2] Insegnanti con queste caratteristiche hanno la capacità di influire positivamente sull’animo degli alunni, in quanto riescono a contemperare in modo armonico il dialogo e l’accoglienza, il rispetto e la tolleranza, l’ordine e la disciplina. Molte paure e rifiuti della scuola e delle attività didattiche sono legate all’atmosfera che si respira nelle aule. E’ nociva per il bambino un’atmosfera pervasa da ansia, timore, disadattamento emotivo, giudizi aspri e severi, eccessiva presenza di limiti, norme, punizioni e limitazioni che rendono invivibile la sua vita tra i banchi di scuola. Altrettanto nociva però è una scuola inquinata da un eccessivo permissivismo che crea, nell’ambito della classe, disordine, aggressività incontrollata, scarso rispetto l’uno dell’altro. Clima questo che annulla ogni possibilità di apprendimento e rende caotiche le ore trascorse in classe.
Quando, come avviene oggi, la selezione è fatta, nel migliore dei casi, solo sulle qualità culturali, oltre che sull’anzianità, si rischia di mettere a contatto con dei minori, ancora immaturi e psicologicamente fragili, delle persone che, con i loro atteggiamenti e comportamenti poco congrui sul piano relazionale ed educativo, non solo non riusciranno a dare adeguati apporti formativi, ma vi è il rischio concreto che possano danneggiare, in modo più o meno grave, la personalità in formazione dei minori. Gli insegnanti, infatti, nel rapporto educativo, sono in grado di trasmettere ai discenti sentimenti di gioia, coraggio, serenità, fiducia in se stessi, determinazione, piacere nella relazione, nella vita e nel mondo, oppure, al contrario, ansia, inquietudine, tristezza, malinconia, pessimismo, freddezza, instabilità e insicurezza, non solo in base alla loro volontà di scelta, ma in relazione alle caratteristiche di personalità.
2. Quando il personale docente è sottoposto a stress eccessivo.
Gli insegnanti, come tutti i lavoratori, possono essere sottoposti a situazioni di stress eccessivi difficilmente gestibili. Data la delicatezza, la complessità e il costante impegno psicologico necessari nell’attività didattica, queste situazioni possono modificare in peggio l’equilibrio interiore dei docenti, con conseguenze sul piano personale, sull’attività didattica ma, soprattutto, sul rapporto insegnanti - allievi. Le cause dello stress possono essere consequenziali alla difficile gestione di un numero sproporzionato di alunni o alla presenza in classe di troppi minori che presentano comportamenti disturbanti, chiare disabilità intellettive o psichiche. Causa di stress possono essere anche i delicati rapporti con i genitori degli alunni, rapporti che, in questi ultimi decenni, sono notevolmente peggiorati, come sono peggiorati i rapporti con i dirigenti scolastici. Questi ultimi si sentono stretti tra due fuochi: da una parte avvertono la necessità della disciplina e dello svolgimento ottimale delle attività didattiche, dall’altra percepiscono le continue minacce da parte dei genitori, spalleggiati dalla magistratura e dalla stampa, per ogni intervento che possa essere interpretato come repressivo o autoritario.
Come conseguenza di questa continua tensione, negli insegnanti vi è un aumento dell’ansia, degli stadi depressivi, della cefalea, dei disturbi psicosomatici, mentre vi è un peggioramento nelle capacità di ascolto, nella comprensione e nel dialogo. Tutto ciò non può non ricadere sugli stessi allievi i quali si ritrovano a rapportarsi, giorno dopo giorno, con insegnanti stanchi, depressi, demotivati, irritabili e poco disponibili.
3. Quando questo servizio viene utilizzato in maniera abnorme.
Per quanto riguarda l’utilizzazione, sempre più spesso, negli ultimi decenni, a questo servizio sono stati affidati compiti che non sono di sua competenza e spesso si sono confusi gli specifici ruoli educativi e formativi. Ad esempio, non dovrebbe essere compito della scuola intrattenere i minori mentre i genitori sono impegnati nel lavoro o in altre occupazioni, così come non è compito della scuola offrire ai minori quelle primarie relazioni affettive ed educative che sono di specifica prerogativa del padre e della madre. Insomma non è compito della scuola sostituirsi alla famiglia o a genitori poco presenti, distratti o incapaci di relazionarsi adeguatamente con i loro figli.
Quando ciò succede, quando la scuola si propone di dare alla società e ai genitori dei servizi che non è in grado di svolgere, tradisce i suoi scopi, sia perché distrae le sue attenzioni e la sue energie dai compiti istituzionali, sia perché offre promesse che non può mantenere, in quanto non ha le caratteristiche, né le competenze di un genitore o di una normale famiglia. La relazione che si stabilisce tra insegnanti e alunni non può, infatti, avere quelle qualità specifiche e quei vincoli affettivi stabili e di particolare responsabilità, che dovrebbero essere presenti nella relazione con dei genitori e familiari. Questo non significa che gli insegnanti non debbano attivarsi quando notano delle lacune educative da parte dei genitori o delle famiglie dei propria allievi ma, nel confronto con le famiglie e con la società nel suo complesso, deve essere chiaro che questo impegno è solo di parziale, momentaneo supporto e mai ha o può avere una stabile e continua funzione vicariante.
4. Quando l’inserimento scolastico avviene in modo precoce o poco adeguato.
L’inserimento precoce può riguardare la scuola dell’infanzia ma anche la scuola primaria e secondaria. Allo stesso modo l’inserimento precoce può riguardare i bambini normali e quelli disabili.
L’inserimento precoce nella scuola materna.
Una delle condizioni dalla quale può derivare una notevole sofferenza ai minori, è data dal precoce o non adeguato inserimento scolastico. Per molti genitori, e purtroppo per altrettanti docenti, vi è la errata e diffusa idea di affidare bambini ancora psicologicamente piccoli o immaturi alla funzione socializzante degli insegnanti e dei compagni di classe. Sia i genitori sia i docenti sottovalutano una componente fondamentale della realtà dei minori che riguarda la maturità affettivo – relazionale. L’integrazione nell’ambito scolastico richiede, come prerequisito, che il minore abbia superato, in assenza della figura materna o di altro familiare che faccia da supporto, il timore nei confronti di un ambiente sconosciuto e di persone estranee. Il superamento di queste paure non può avvenire nelle aule della scuola, né può essere affidato in maniera prioritaria agli insegnanti, ma può e deve avvenire soltanto a livello familiare. Per BASSI, infatti, ‹‹Senza questa azione socializzante della famiglia lo sviluppo della personalità infantile non sarebbe possibile e, di conseguenza, sarebbe impossibile anche l’esperienza del gruppo che è la nuova entità sociale che si sostituisce, non senza conflitti, alla famiglia, per operare una ulteriore socializzazione del fanciullo. È, infatti, sperimentalmente dimostrato che il fanciullo normale che è bene adattato nella famiglia lo diventa anche nel gruppo. Il bambino che non riesce ad integrarsi nel gruppo dei coetanei, che non si adatta ad andare alla scuola materna, di solito è un bambino “difficile” anche in famiglia.[3]
Pertanto, la socializzazione all’esterno del nido familiare non è avviata in modo corretto ogni qualvolta si forzano precocemente i bisogni di sicurezza del bambino. Bisogni che sono soddisfatti solo dalla presenza e dalla protezione delle figure familiari e dell’ambiente della sua casa.
Quando si attuano queste forzature, non solo non si ottiene quanto desiderato ma, poiché viene ad essere più o meno gravemente turbato il mondo interiore del bambino, possono manifestarsi tutta una serie di sintomi come la paura della scuola, l’ansia, le somatizzazioni, la tristezza, la chiusura. Sintomi questi che rendono evidente la sofferenza ed il disagio del minore.
In realtà la socializzazione avviene per fasi, le quali sono strettamente legate alla natura degli esseri umani. Queste fasi, è bene sottolinearlo, non possono essere modificate o anticipate.
Vi è l’età delle braccia e del seno materno, quando il bambino si sente sicuro, sereno e protetto soltanto quando si trova immerso in un costante intimo contatto con il corpo della madre. A questa fase segue l’età della disponibilità materna, quando il bambino prova sensazioni rassicuranti e calde anche se la madre o chi ha cura di lui con caratteristiche nettamente materne, si allontana all’interno della casa, ma rimane disponibile e pronta al suo richiamo. Vi è poi l’età del nido, quando il bambino accetta nel suo spazio psicologico con serenità, gioia e fiducia il papà, ma anche gli altri familiari (nonni e zie), che ben conosce e che sono molto vicini al suo cuore.
Vi è, infine, verso i tre – quattro anni, l’età dell’apertura all’estraneo. In questa fase accetterà fisiologicamente, senza traumi, l’inserimento in un ambiente, come la scuola materna, dove si ritrova con bambini con cui non c’è fratellanza e parentela e con adulti nei confronti dei quali non si è stabilito un rapporto affettivo solido e individuale. La maestra infatti, anzi spesso le maestre, ognuna con la propria personalità, anche se hanno un atteggiamento materno, sono a disposizione di tutto il gruppo classe e non possono essere vicini in modo esclusivo ad un singolo allievo. Nella scuola materna come dice RUSSO: ‹‹Il bambino si trova nelle condizioni di dover affrontare diverse difficoltà: la presenza stimolante e limitante dei coetanei, il nuovo ambiente, il modello di funzionamento sociale, l’accettazione della pluralità e variabilità delle educatrici, la rinuncia parziale alle abitudini consolidate, l’assenza dell’affettività e della tutela delle figure familiari››.[4] Si ritrova, inoltre, a confrontarsi con usi e costumi diversi da quelli familiari ai quali era abituato e con modelli a volte conflittuali, con la conseguenza di determinare nel bambino confusione riguardo al modello da seguire o da rifiutare.[5]
Non vi è dubbio che solo a questa età e in questa fase, la scuola materna sia utile, in quanto permette al bambino di aprirsi a persone insegnanti e altri bambini non legati a lui da vincoli familiari ed affettivi, che lo stimolano a mettere in gioco le sue capacità di instaurare rapporti nuovi e diversi.
La scuola materna è, quindi, utile quando:
- questa esperienza non avviene precocemente;
- è stato predisposto un inserimento graduale;
- sono presenti delle buone maestre, capaci di accoglienza;
- i genitori sono pronti a lasciare questa scuola se notano segnali evidenti di sofferenza nel loro figlio come può essere il pianto, la tristezza, la difficoltà ad allontanarsi dalle braccia materne o sintomi somatici come la cefalea, la diarrea, i dolori addominali.
Le varie fasi che abbiamo indicato hanno, però, soltanto un valore indicativo. Non sempre lo sviluppo psicoaffettivo corrisponde all’età cronologica. Pertanto un bambino può raggiungere più precocemente o più tardivamente una delle fasi che abbiamo descritto, in base alle caratteristiche del suo sviluppo psicologico che può essere più o meno ritardato o accelerato. La possibilità di vivere serenamente il rapporto con persone estranee al suo ambiente familiare, è tanto più facile quanto più serena e soddisfacente è stata vissuta la sua prima infanzia con la madre, il padre e con le figure parentali più vicine a lui. Pertanto è la bontà di questo rapporto, è la serenità dell’ambiente di vita nel quale è vissuto il bambino, che gli renderà possibile aprire il proprio animo, il proprio interesse e la propria attenzione costruttiva anche agli estranei. Al contrario, più il bambino è stato trascurato, più il bambino ha subito una relazione non sufficientemente ricca e gratificante, più difficoltà avrà a conquistare dei livelli superiori di autonomia, in quanto nel suo animo albergheranno ancora paure e timori, ogni qualvolta dovrà o sarà costretto ad allontanarsi dalla sua casa, dai suoi genitori o addirittura dalla presenza fisica della madre.
Per attuare una scelta consapevole non basta quindi tener conto solo dell’età anagrafica e mentale del bambino, ma bisogna porre attenzione a quegli indicatori che, se letti correttamente senza l’influenza dei nostri desideri o bisogni personali, familiari o lavorativi, esplicitano la maggiore o minore maturità del bambino, rispetto alla possibilità o meno di inserirlo nella scuola materna.
I segnali che ci indicano la maturità affettiva e relazionale e, quindi, ci danno un’utile indicazione su un possibile positivo inserimento nella scuola dell’infanzia, sono fondamentalmente tre:
- un atteggiamento sereno, gioioso e fiducioso del bambino nei rapporti con se stesso e con gli altri (genitori, nonni, cugini e compagni);
- una sufficiente e ampia conquista sia dello spazio fisico che psicologico attorno a lui. Ci accorgiamo di ciò quando notiamo che il bambino non ha paura del buio, non teme di lasciare la mano della mamma o del papà per spostarsi da una stanza all’altra della casa. Riesce, inoltre, a restare per qualche ora, senza particolari problemi, non solo nella casa dei nonni e degli zii ma accetta, anche se con qualche titubanza, di rimanere affidato alle cure della mamma di qualche compagno che ben conosce e con il quale si è particolarmente legato. Inoltre un bambino è maturo per la scuola materna quando preferisce restare nel suo lettino piuttosto che dormire nel letto dei genitori;
- la conquista ed il superamento del rapporto esclusivo con alcuni oggetti con i quali era particolarmente legato: ad esempio la sua tazza, il suo orsacchiotto, il suo vasetto. Mentre prima non poteva fare a meno di questi oggetti e li cercava quasi ossessivamente, ora accetta con piacere anche quelli che gli vengono proposti in sostituzione dei suoi.
Le cause dell’inserimento precoce nella scuola dell’infanzia.
Nonostante vi siano molti motivi per ritenere che l’inserimento precoce nella scuola possa essere nocivo per il bambino, tanto da peggiorare il suo benessere psicologico, alcuni fattori tendono a provocare nei genitori questa errata decisione.
Il primo di questi fattori riguarda l’età cronologica: ‹‹Se mio figlio ha l’età per essere accettato nella scuola dell’infanzia deve essere inserito in questa scuola. Per cui se dimostra difficoltà o netto rifiuto durante questo inserimento le possibili cause riguarderanno sicuramente o delle lacune negli insegnanti di classe o un comportamento capriccioso del bambino››.
Determinante è anche l’influenza ambientale: ‹‹Se il figlio della mia migliore amica o della cugina che abita di fronte, ha iniziato la sua carriera scolastica a due - tre anni, mio figlio non può essere da meno››. ‹‹Se il mio primogenito è stato inserito precocemente nella scuola materna, altrettanto dovrà fare il secondogenito››.
A volte l’influenza ambientale utilizza gli stessi deficit e difficoltà del bambino: ‹‹Tuo figlio si comporta così: piange per un nonnulla, è capriccioso, vuole dormire ancora nel vostro letto, ha difficoltà nell’alimentazione, perché ancora non è andato all’asilo. Mandalo là e tutti i suoi capricci finiranno, in quanto le maestre non saranno così permissive come sei tu››. Quando le cose non vanno poi per il verso giusto, per cui i sintomi di disagio del bambino si accentuano, piuttosto che ricredersi e ritornare sui propri passi, le stesse persone sono pronte ad accentuare i problemi con frasi come questa: ‹‹Se neanche l’asilo è riuscito a fargli superare queste fisime, non c’è proprio nulla da fare››. Come dire che quel bambino è fatto così male che non vi è rimedio alcuno se non qualche scappellotto.
L’ambiente sociale può influire sui genitori anche evidenziando dei motivi economici: ‹‹Tu non ti puoi permettere di stare a casa, per cui per potere lavorare in pace devi mettere tuo figlio alla scuola materna, pianga o non pianga, stia bene o stia male, si abituerà››.
Questo concetto dell’abituarsi e cioè dell’adattamento, è esposto anche dagli insegnanti: ‹‹Tanti bambini piangono durante i primi giorni di scuola ma poi si abituano e non piangono più››. In questo caso viene estrapolato solo uno dei sintomi di malessere: il pianto, senza tener conto che la sofferenza psicologica ha mille altre strade mediante le quali può manifestarsi ed il pianto è solo una di queste.
Inserimento precoce nella scuola primaria.
Vi è poi il problema dell’inserimento precoce in attività didattiche che il bambino non è ancora in grado di affrontare ed in comportamenti richiesti che non è in grado di gestire. Intanto l’età mentale non sempre corrisponde all’età cronologica anche in bambini perfettamente “normali”. Non bisogna dimenticare che fra un quoziente intellettivo “normale” di 80 ed un quoziente intellettivo altrettanto “normale” di 120 vi sono quaranta punti di differenza. Pertanto, nella stessa classe, possono convivere alunni di età mentale di meno di cinque anni e alunni con un’età mentale di più di sette anni. Se poi si considerano normali anche gli alunni con un Q.I, ai limiti della norma, che per le attuali leggi italiane non hanno diritto all’insegnante di sostegno, il divario tra gli stessi alunni aumenta in maniera considerevole in quanto, nella stessa classe, sono posti sullo stesso piano e dovrebbero apprendere le stesse materie, alunni di età mentale di 4 anni e sei mesi e alunni di sette anni e più.
Quando ciò avviene, quando il bambino viene precocemente inserito in un ambiente a lui non idoneo è costretto a confrontarsi non solo con una disciplina nettamente più coartante rispetto a quella presente nella scuola dell’infanzia, ma anche con attività, come la lettura, la scrittura e la matematica che richiedono determinati prerequisiti di carattere logico-percettivo, spaziale e visuo –motorio. Se questi prerequisiti non sono maturati, un bambino o non impara quanto proposto subendo giorno per giorno l’umiliazione di non capire, di non conoscere, di non sapere, oppure può anche imparare a leggere e a scrivere ma il risultato non compensa lo sforzo che dovrà fare e le umiliazioni che dovrà subire nell’essere considerato il reietto della classe. OLIVERIO FERRARIS: “Un bambino che si impegna ed è animato dal desiderio di dare il meglio di sé, che vorrebbe contare all’interno del gruppo classe e avere i giusti riconoscimenti si sente, infatti, frustrato di fronte ai propri modesti risultati. E poiché il piccolo non sa che il vantaggio degli altri dipende dall’età, può pensare di valere di meno, convincersi di non essere benvoluto dagli insegnanti per qualche sua carenza, oppure, peggio ancora, sentirsi marginale ai propri compagni di scuola che lo tengono in scarsa considerazione››.[6] Ciò comporta dei segnali di disagio psichico come i disturbi dell’attenzione, l’irrequietezza, l’insofferenza per la scuola e le attività didattiche, l’insonnia, i disturbi psicosomatici ecc.. Se, come oggi avviene in Italia, i genitori sono stimolati a iscrivere i loro figli a cinque anni e sei mesi le difficoltà ed i problemi sopraddetti non possono che aumentare notevolmente.
Per quanto riguarda poi la necessità dell’ordine e della disciplina, spesso il bambino è costretto a restare buono e tranquillo nella propria classe, seduto nel proprio banco, spesso per ore, ad un’età nella quale, soprattutto i maschietti, avrebbero bisogno di alternare brevi momenti di impegno e attenzione ad altri nei quali sia preponderante il gioco e l’attività motoria libera, da effettuarsi, se possibile, all’aria aperta. Queste condizioni non fisiologiche possono comportare, in alcuni maschietti, forme di disagio psichico che tendono ad aggravarsi proprio a causa degli interventi finalizzati a soffocare tali sintomi. Infatti, se il bambino si muove troppo nel suo banco o non sta attento, viene rimproverato, richiamato, o punito. Queste frustrazioni accentuano il suo malessere che si potrà manifestare con una aumentata instabilità, irrequietezza, scarsa attenzione e memorizzazione. Questi comportamenti, a sua volta, porteranno ad un’accentuazione dei richiami e degli atteggiamenti repressivi da parte dei docenti, ma anche dei genitori che, a sua volta, tenderanno a peggiorare il quadro psichico e comportamentale, con una netta diminuzione delle capacità di apprendimento.
L’inserimento dei bambini disabili
Per quanto riguarda poi l’inserimento dei bambini disabili, o come ora si preferisce chiamare diversamente abili, nella scuola, i problemi si complicano notevolmente. Ad esempio, i bambini con ritardo mentale dovrebbero frequentare la classe più vicina alla loro età mentale e al loro sviluppo culturale. Se poi la loro età mentale e il loro sviluppo psicoaffettivo sono inferiori ai tre – quattro anni, dovrebbero continuare a vivere e relazionarsi all’interno del nido familiare. Capita invece, sempre più spesso, che genitori, insegnanti e operatori dell’infanzia, frequentemente in piena sintonia, inseriscano il bambino affettivamente o intellettualmente piccolo, con bambini di uguale età cronologica ma molto superiori per possibilità affettivo relazionale, per età mentale e per capacità di apprendimento, creando di fatto un notevole disagio nel minore disabile.
Lo stesso avviene con bambini notevolmente disturbati, come i bambini affetti da autismo o da altre psicosi, i quali sono costretti a restare in un ambiente, la classe, e con delle persone, gli altri bambini della classe, nella vana speranza di ottenere un legame socializzante. Si trascura il dato fondamentale che questi bambini vivono male l'allontanamento dalla propria casa, soprattutto vivono male l'ambiente classe perché troppo rumoroso, numeroso, limitante e frustrante. Pertanto, prima di essere inseriti in ambiente scolastico, dovrebbero aver fatto un percorso relazionale che li renda maturi e pronti alla socializzazione. La qual cosa è molto difficile che possa essere effettuata in classe anche con l’aiuto dell’insegnante di sostegno.
5. Quando il tempo trascorso nelle aule scolastiche è eccessivo.
Dopo gli anni sessanta il tempo trascorso nelle aule scolastiche è andato sempre più aumentando con l’inserimento del tempo pieno, del tempo prolungato, della settimana corta, ma anche a motivo dei vari progetti organizzati dalla scuola. Nello stesso tempo sono aumentate le occasioni nelle quali la scuola ha iniziato a sostituirsi alla famiglia con l’intento di aiutarla nei compiti che non riusciva più a svolgere. Prima il momento del pranzo: ‹‹Come può una madre che lavora e che ha solo due ore di intervallo ritornare a casa, preparare il pranzo per i figli e ritornare al lavoro? Per aiutare queste famiglie è più utile che il bambino resti a scuola e mangi insieme ai suoi coetanei. Ciò servirà anche come educazione alimentare e l’aiuterà a superare tanti capricci››. A ciò si è quasi subito aggiunto “l’aiuto” nell’effettuare i compiti scolastici: ‹‹Chi c’è a casa nel pomeriggio, se non una vecchia nonna lontana dagli argomenti didattici che oggi la moderna pedagogia propone ai suoi studenti? Come può questa vecchietta assistere e aiutare i bambini? È molto meglio che questo sostegno sia offerto da alcune insegnanti durante il tempo pieno o tempo prolungato››. E ancora per altre attività ludiche: ‹‹Ora che sono scomparsi i cortili e le aree attrezzate per i giochi per i bambini vi è il rischio reale che questi stiano tutto il pomeriggio a casa davanti alla TV e ai video-giochi; meglio, molto meglio attivarli con delle esperienze ricreative e culturali da effettuare durante il tempo pieno a scuola››.
Ma la scuola con il concorso del comune riesce a fare anche meglio. ‹‹Perché costringere i genitori ad accompagnare i figli a scuola quando è possibile avere dal comune degli ottimi scuolabus?››
In una società, come la nostra, nella quale i rapporti genitori –figli sono molto ridotti e limitati dalle necessità lavorative, un bambino, specie se piccolo, desidererebbe e ne avrebbe il diritto, di essere accompagnato a scuola da almeno uno dei suoi genitori o da una persona a lui legata affettivamente, come un nonno o una nonna. Questa funzione, infatti, ha delle notevoli valenze affettive ed educative. In quei minuti trascorsi insieme, mentre il bambino lotta contro il timore di staccarsi da un ambiente conosciuto e sicuro come la propria stanza e la propria casa per affrontare un contesto diverso, difficile e problematico, come quello scolastico egli, mediante il contatto della mano ferma e calda del genitore, ha la possibilità di percepire prima e poi far propria la sicurezza e la serenità di questi. Inoltre, mediante il dialogo, ha la possibilità di comunicare con la persona amata le nuove esperienze, le nuove gioie e soddisfazioni come quelle di un bel voto o di riuscire ad instaurare un nuovo rapporto d’amicizia ma gli è possibile anche confidare i timori e le difficoltà come l’accettare un cattivo voto, un richiamo dell’insegnante o le cattiverie di qualche compagno di classe.
In questi casi l’offerta e l’accettazione di un servizio come quello degli scuolabus, specie per un bambino piccolo o alle prime esperienze scolastiche, può comportare notevoli disagi e sofferenze, in quanto questi si ritrova ad affrontare da solo i suoi timori, le sue paure, i suoi dubbi, le sue difficoltà, mentre rimane privo dei preziosi consigli, suggerimenti, incoraggiamenti e chiarimenti, dei suoi genitori ma anche del contatto fisico offerto dalla loro mano o dal bacio dato al momento del distacco.
“L’aiuto” che la scuola o il comune cerca di dare ai genitori e alle famiglie, in realtà si traduce in una deresponsabilizzazione, ma anche in una collusione con il mondo economico o meglio finanziario, che tende sempre di più a gestire persone e famiglie a suo esclusivo beneficio, senza tener conto dei danni prodotti alle future generazioni.
6. Quando non sono rispettati i fisiologici ritmi di impegno, svago e riposo.
Possibili effetti negativi si possono avere quando la scuola e le attività didattiche correlate non rispettano i bisogni di riposo, di gioco e di svago del minore. Negli ultimi decenni la scuola è sottoposta da parte della società a continue richieste formative, sia per l’aumento delle conoscenze, sia per la complessità delle attitudini indispensabili agli adulti per comprendere e padroneggiare le varie attività lavorative e sociali. Ciò comporta un carico di lezioni, compiti e attività, in alcuni casi insostenibili per le possibilità di un bambino. Tendono ad aumentare le ore di lezione e quelle di studio necessarie per prepararsi alle interrogazioni quotidiane o per superare le varie prove d’esame. Inoltre, la necessità di utilizzare al massimo il tempo trascorso dal bambino a scuola, ma anche la paura di incidenti che possono avvenire fuori delle aule scolastiche, ha fatto da una parte diminuire la durata della pausa di riposo, dall’altra, in molti casi, ha spinto gli insegnanti a costringere i bambini a consumare una frettolosa merendina nello stesso banco. Queste modalità di gestione degli alunni, assolutamente non fisiologiche per soggetti in età evolutiva i quali hanno bisogni di movimento, svago e gioco, ha comportato un aumento dell’instabilità e dell’irritabilità, una diminuzione delle capacità di attenzione, una maggiore svogliatezza, ma anche atteggiamenti aggressivi e disforici poco consoni ed utili in una classe. Insomma, piuttosto che liberare tensioni represse mediante il gioco libero, nelle giuste pause, è facile vedere un numero sempre maggiore di bambini, soprattutto maschietti, che per tutto il tempo delle lezioni ma soprattutto nelle ultime ore si alza spesso dal banco e vaga nella classe oppure, al contrario, resta imbambolato, apatico e addormentato nel suo banco per evitare rimproveri e punizioni. Questa modalità poco fisiologica di gestire i tempi dello studio e quelli necessari per il riposo ha, inoltre, determinato un calo nell’impegno scolastico soprattutto degli alunni maschi, con conseguenze anche sul piano del benessere psicologico.
7. Quando la scuola e le attività didattiche si inseriscono in modo invadente e prioritario nella vita dei minori.
La vita giornaliera di un bambino, ma anche quella di un fanciullo e di un giovane dovrebbe essere la più varia. Durante la veglia dovrebbero essere intervallati momenti di studio ad altri di gioco libero, periodi di riflessione ad altri di impegno, momenti di lettura e momenti di ascolto, occasioni di riposo alternate a sport o comunque ad impegno motorio. Momenti dedicati al dialogo, ai quali dovrebbero seguire periodi ricchi di silenzio interiore. Quando la scuola e le connesse attività didattiche diventano preponderanti nella vita dei minori, molte di queste possibili opzioni si riducono notevolmente, si annullano o non vengono neanche scoperte. In questi casi l’impegno scolastico fagocita ogni minuto, ma anche ogni energia del minore, rendendo monocorde la sua giornata ma anche la sua vita ed il suo sviluppo umano, con grave perdita delle sue globali potenzialità. Il concetto che la scuola dovrebbe essere solo una parte della vita del minore, per alcuni genitori e per tanti insegnanti sembra sconosciuto o nettamente rifiutato, tanto che il dialogo tra genitori e figli, ma anche tra coetanei spesso si riduce a temi quasi esclusivamente di tipo scolastico: ‹‹Sei stato interrogato? Quanto hai preso nell’ultimo compito? Come mai il tuo rendimento scolastico è diminuito in questo periodo? Ti piace la matematica?›› E così via.
Per alcuni genitori la scuola e le attività didattiche diventano causa di ansia per loro e motivo di tormento nei confronti dei figli. Non basta la sufficienza è necessario un buon voto. Non basta un buon voto è necessario un rendimento scolastico eccellente. Tutto il resto della vita del minore sembra ruotare solo su questi termini di paragone. Per evitare che il bambino si distragga, nei momenti di riposo alcuni genitori sono felici se il figlio guarda la TV, ‹‹…così apprende qualche altra cosa e rimane concentrato sui compiti da fare.›› Compiti che spesso si prolungano fino a tarda sera. Si riduce il rapporto del bambino con i coetanei. Si riducono le sue possibilità di scelta. Il suo animo e la sua vita si atrofizzano.
Questi genitori spesso non sopportano che il loro figlio “non faccia nulla”. Vanno in ansia se lo vedono sdraiato nel letto a pensare guardando il soffitto. Quando si accorgono che, almeno apparentemente è inattivo, lo apostrofano pesantemente. Come fosse un crimine pensare, fantasticare, riflettere. Le conseguenze sono notevoli. La personalità del minore ha difficoltà ad espandersi. Non solo, ma egli comincia a credere, come i suoi genitori ed i suoi insegnanti, che il valore di una persona si misura dal suo successo scolastico; che essere buono e bravo significa prendere dei buoni voti; che le maggiori disgrazie della vita sono quelle che si hanno quando un compito va male e così via. Spesso, in questi minori cresce l’ansia da prestazione, la depressione, la tristezza, la colpevolizzazione e la svalutazione di sé, quando qualcosa non è andato per il verso giusto a scuola. Tutto il bene che essi possono chiedere a se stessi e al mondo si focalizza su questa istituzione.
Nonostante questo sia un pensiero molto frequente, resta un pensiero grossolanamente errato. La vita premia chi è più ricco globalmente, non chi è più bravo a scuola. Premia chi è capace di gioire, pensare, riflettere, scoprire, provare, dialogare, non chi prende tutti nove e dieci. Premia chi è pronto e desideroso di impegno verso il prossimo; chi ama arricchirsi della lettura, della musica; chi gode e difende la natura ed in essa cerca riposo e vigore. In definitiva, la vita premia chi è più capace di confrontarsi bene con sé stesso, con gli altri e con il mondo che lo circonda e non chi risponde meglio alle interrogazioni.
In questi bambini la cui vita ruota solo attorno alla scuola e allo studio, abbiamo evidenziato nei loro disegni e nei loro racconti, una scarsissima varietà di elementi. A volte tutti i loro sogni e le loro attenzioni sono focalizzate sugli oggetti tecnologici, altre volte sui video – giochi, altre volte sul calcio ma è come se il ventaglio della loro vita fosse enormemente ristretto e limitato e quindi, in definitiva, molto povero.
Un bambino “tutto studio e TV”
Il caso di Vincenzo è emblematico.
Questo bambino di nove anni con normali capacità intellettive e con buon profitto scolastico, arriva alla nostra osservazione in quanto presentava numerosi disturbi psicoaffettivi come paura del buio, della bambola assassina, dei ladri, della morte dei genitori e quindi di rimanere solo senza protezione. Presentava, inoltre, facile suscettibilità, ridotta autostima, e notevole tensione interiore. I genitori si impegnavano e lo impegnavano nel fare i compiti dalle quindici alle diciannove. Dopo i compiti l’unica altra attività che gli era concessa era vedere un po’ di TV. Nessuna vita sociale. Niente amici. Nessuna attività di gioco con i compagni.
Come commento al disegno che raffigura un bambino che gioca al pallone, riferisce:
‹‹C’era una volta un bambino di nome Luigi che palleggiava. Sapeva giocare bene a pallone. Andava a calcetto, mangiava, dormiva, ecc. Un giorno un topo gli ha bucato il pallone e lui si è messo a piangere. Dopo se ne è comprato uno nuovo e ha giocato di nuovo a pallone. La madre aveva i capelli ricci e neri e suo papà aveva i capelli ricci e neri. Papà faceva il medico e la mamma faceva il medico. Erano buoni. Papà si arrabbiava se gridava e la mamma per le grida e se non studiava. Era solo e giocava solo!››
Nonostante il disegno ed il relativo commento fossero, almeno in parte, una proiezione dei suoi desideri insoddisfatti in quanto, nella realtà, il bambino non era iscritto a calcetto e non aveva tempo di giocare a pallone, colpiscono in questo racconto tutta una serie di elementi scialbi e monocordi di persone e giornate sempre uguali (Un giorno un topo gli ha bucato il pallone e lui si è messo a piangere. Dopo se ne è comprato uno nuovo e ha giocato di nuovo a pallone) (La madre aveva i capelli ricci e neri e suo papà aveva i capelli ricci e neri). (Papà faceva il medico e la mamma faceva il medico).
Colpisce, inoltre, la sua frase finale (Era solo e giocava solo!)
8. Quando il gruppo classe deve affrontare problemi più gravi e pesanti rispetto alle sue possibilità di dare adeguate risposte.
La possibilità che ha una classe di dare risposte adeguate dipende da molti fattori: equilibrio psichico e capacità degli insegnanti, numero degli allievi, quantità di problematiche da affrontare. In definitiva, una maggiore qualità e capacità dei docenti permette di affrontare positivamente anche un numero maggiore di alunni, anche se tra questi vi sono più alunni con problemi. Al contrario minori capacità e qualità sono presenti negli insegnanti, minori possibilità vi sono di affrontare un alto numero di alunni soprattutto se fra questi sono presenti degli alunni con qualche disabilità. Pertanto più una classe è numerosa, più all’interno della classe sono presenti bambini con problemi, anche solo di disagio psichico, più è difficile la sua gestione e più capacità si dovrebbe richiedere ai docenti.
9. Quando è presente una eccessiva competizione.
Una giusta competizione stimola l’interesse e la motivazione ed aiuta a raggiungere gli obiettivi didattici programmati. Quando invece la competizione è eccessiva si crea un clima di ansia, tensione e scontro tra gli allievi, per cui gli alunni meno capaci e bravi rischiano di soffrire per i sentimenti di fallimento e di insufficienza.
10. Quando la scuola non riesce ad attuare un rapporto ed un insegnamento individualizzato.
Ogni bambino ha per sua natura delle potenzialità e dei bisogni particolari in quanto portatore di diversa personalità, di diverse capacità intellettive, di attenzione, di memoria e così via. Anche se è illusorio pensare che un insegnante possa far effettuare ad ogni alunno della classe, la quale spesso è numerosa, un suo percorso individualizzato di apprendimento, una buona scuola e dei bravi insegnanti dovrebbero riuscire a dare ad ogni allievo l’attenzione necessaria affinché non si sentano e non vengano trattati in maniera anonima. Il racconto di Bruno è, a questo proposito, eloquente.
Un bambino con la paura delle interrogazioni
C’era una volta un ragazzino di nome Carlo il quale prima di essere interrogato era molto spaventato perché temeva che il professore gli avrebbe messo due se non avesse fatto bene. La mattina Carlo cercò in tutti i modi di non andare a scuola, fingendo di sentirsi male. Però non riuscì, doveva solo affrontare il professore. Quando lo chiamò alla lavagna, nessuno capiva perché lui scriveva tremolante. Appena il professore disse di disegnare un parallelogramma lui riuscì a farlo perfettamente. Questo professore di cui tutti avevano paura era diventato amico, perché appena finita la lezione lo portò fuori con lui dicendogli di continuare così con buona volontà. Il bambino passò alle classi superiori e fece notare a tutti di essere un piccolo grande genio.
Il racconto di Bruno evidenzia molto bene il “miracolo” che può fare un buon professore con un piccolo, semplice gesto.
Intanto viene presentato, in questo racconto, un bambino spaventato dalle interrogazioni che, di conseguenza, presenta paura della scuola (C’era una volta un ragazzino il quale prima di essere interrogato era molto spaventato perché temeva che il professore gli avrebbe messo due se non avesse fatto bene). (Quando lo chiamò alla lavagna, nessuno capiva perché lui scriveva tremolante). Questo ragazzino fa di tutto, fingendosi malato, per non andare (La mattina Carlo cercò in tutti i modi di non andare a scuola, fingendo di sentirsi male). Tuttavia, nonostante il terrore, è bastato poco a questo professore per sminuire di molto le sue paure (Questo professore di cui tutti avevano paura era diventato amico, perché appena finita la lezione lo portò fuori con lui dicendogli di continuare così con buona volontà).
Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" -(Volume unico)