La crescita intellettiva ed affettiva di un bambino è strettamente condizionata dalla quantità e dalla qualità degli stimoli ricevuti. Nonostante il sistema nervoso di un neonato sia già programmato per il suo sviluppo umano, le specifiche potenzialità genetiche si attueranno in maniera piena, ricca ed armonica, soltanto se egli avrà ricevuto nei tempi e nei modi opportuni e quindi nei modi e nei tempi adeguati alla sua fisiologia, i necessari stimoli comunicativi, affettivi, intellettivi, motori e sensoriali. In caso contrario il suo sviluppo cerebrale si arresterà o si attuerà in modo parziale o non corretto.
Mentre nell’adulto noi possiamo in parte distinguere gli stimoli affettivi da quelli intellettivi, nel bambino molto spesso questa distinzione non è facile e non è neanche possibile in quanto, per i cuccioli dell’uomo, le due componenti sono strettamente connesse l’una all’altra. Quando un padre apre le braccia e incita il bambino a fare i primi passi, quando una madre tenendolo sulle ginocchia sfoglia un libro figurato o quando la sera entrambi i genitori raccontano al bambino una favoletta prima di andare a letto, non sono solo un padre o una madre che stimolano la sua motricità grosso motoria, o arricchiscono il suo lessico e la sua fantasia: essi svolgono anche, e soprattutto, una funzione squisitamente affettivo – relazionale fatta di comunione reciproca, incoraggiamenti, rassicurazioni e dialogo. Per tale motivo, nonostante l’enorme mole di stimoli che provengono dai libri, dalla tv, dai video giochi, da Internet o dai computer, anche oggi e forse soprattutto oggi, si può ben a ragione parlare di bambini che soffrono di carenze di stimoli ambientali. In quanto se è vero che questi strumenti hanno di molto arricchito la vita intrapsichica dei minori in alcuni settori, l’hanno però impoverita in altri. Se queste nuove tecnologie hanno dato un notevole apporto di stimoli visivi, uditivi e della coordinazione visuo – motoria, dall’altra, rispetto al passato e rispetto alle popolazioni nelle quali i bambini possono effettuare, insieme ai loro genitori e familiari, attività e giochi per molte ore al giorno, all’aria aperta, immersi nell’ambiente naturale, vi è stato un notevole impoverimento di esperienze e stimoli. I contatti fisici ed emotivi e le esperienze che provengono dagli adulti con i quali vi è un forte legame affettivo, sono diventati negli ultimi decenni troppo scarsi e limitati., allo stesso modo sono nettamente diminuiti i contatti diretti e spontanei con il mondo vegetale e animale. Mondo notevolmente ricco di proprietà affettivo – relazionali.
Mentre globalmente vi è nella nostra società, una carenza di stimoli efficaci allo sviluppo armonico dei minori, al suo interno vi sono poi delle situazioni ancora più critiche. Così come vi è ad un estremo un ambiente familiare molto attento verso il minore al quale viene dato molto, ma contemporaneamente molto viene chiesto, vi è, nella situazione opposta, un ambiente notevolmente freddo e indifferente, nel quale il minore passa quasi inosservato, come fosse trasparente o inesistente. Ciò avviene quando i genitori, nonostante aspettino un figlio, continuano a condurre la loro vita di sempre: lui al lavoro fuori casa, mentre lei è impegnata nelle sue faccende domestiche e in attività esterne alla famiglia. Quando poi il figlio nasce, la madre lo accudisce come fosse uno dei tanti impegni ai quali è costretta a dedicarsi, una delle tante incombenze della giornata, senza sforzarsi minimamente di avere con il piccolo un buon rapporto dialogico. Queste madri, anche quando stanno accanto al figlio, non ricercano e non si lasciano andare a quel profondo e solido legame particolare che il bambino ricerca e del quale non può fare a meno. Queste madri disattente, mentre allattano il piccolo, anche quando non sono impegnate al telefono o con la Tv, non vivono la relazione in modo profondo, in quanto i loro pensieri vagano sulle cose da fare, dopo quella noiosa occupazione. Ma anche i padri credono che il loro compito sia cessato nel momento in cui hanno provveduto ad assicurare con il loro lavoro un discreto benessere economico alla famiglia. Questi genitori, quando possono, preferiscono delegare agli altri, a chiunque sia disponibile, le indispensabili cure. La loro mente, distratta dagli impegni, dai progetti o peggio dalle passioni o amori del momento, non riesce a vivere e gustare in modo pieno e coinvolgente il rapporto con il figlio.
Quando questi genitori, per un qualunque motivo, hanno la necessità di allontanarsi da casa e dal piccolo per giorni o mesi, per motivi di studio, di lavoro o altre incombenze, si impegnano soltanto a trovare qualcuno che in loro assenza si occupi di lui: gli dia da magiare, lo pulisca e lo metta a letto. Senza affatto preoccuparsi della sofferenza provata dal figlio a causa della carenza affettiva.
Durante tutta l’età evolutiva esiste una fame affettiva in tutti i settori della vita di relazione. Quando questa fame non viene soddisfatta, lo sviluppo psicoaffettivo del bambino risentirà di gravi conseguenze. La madre e il padre non sono gli unici responsabili della carenza affettiva. Responsabili sono anche gli altri familiari. Ciò in quanto, se nei primi diciotto - venti mesi questa richiesta di un solido legame affettivo si rivolge esclusivamente alla madre e al padre, a mano a mano che il bambino acquista posizione nel mondo circostante, il bisogno d’affetto, dialogo, cure, sicurezza e protezione, viene richiesto anche all’ambiente familiare.
Le carenze affettive si possono manifestare nelle varie età. Vi può essere una carenza affettiva della prima infanzia, una carenza affettiva dell’età prescolare, e una dell’età scolare. La gravità della sindrome carenziale dipende dall’età del bambino, dalla durata dell’assenza dei genitori e dalla presenza o meno di figure con le quali il bambino ha instaurato un solido legame affettivo. Minore è l’età del bambino, tanto più lunga è stata la carenza affettiva, tanto più gravi e più difficilmente recuperabili saranno gli esiti. In ogni caso le conseguenze delle carenze affettive causate da genitori poco attenti e disponibili possono essere attutite dai familiari se questi si mostrano vicini e disponibili alle cure del bambino. Al contrario modeste carenze della madre o del padre nella cura del figlio possono essere accentuate dall’assenza o dallo scarso coinvolgimento delle altre figure familiari come quelle dei nonni e degli zii.
Bisogna inoltre considerare le caratteristiche individuali. Alcuni bambini sono particolarmente sensibili a questo tipo di carenze e, pertanto, quando queste si presentano, reagiscono con sintomi importanti e gravi, mentre altri le accettano meglio e reagiscono con sintomi più blandi e passeggeri. La maggiore capacità di resistenza e di recupero non dovrebbero però illudere i genitori in quanto, spesso, una reazione apparentemente neutra nasconde ed alimenta delle invisibili ferite e dei sotterranei risentimenti.
La carenza affettiva può presentarsi in modo acuto o cronico. Una carenza affettiva acuta è, ad esempio, quella nella quale i genitori, pienamente disponibili e vicini al bambino fino a quel momento, sono costretti, per un motivo qualsiasi, ad allontanarsi dal figlio per qualche tempo. Una carenza cronica, invece, è quella che si ha quando, pur non essendoci un allontanamento reale, i genitori ed i familiari, hanno costantemente o frequentemente un comportamento ed un atteggiamento nei confronti del minore, caratterizzato da scarsa attenzione, cura, impegno, disponibilità all’ascolto e al dialogo.
I danni da carenza affettiva possono essere in tutto o in parte recuperati o possono accentuarsi nel tempo. Se la madre, ma anche gli altri familiari, nel momento in cui si accorgono del disagio del bambino cercano, mediante maggiore cura, accoglienza, dialogo, di essere più vicini ai bisogni del figlio, i guasti procurati dalla carenza affettiva possono essere mitigati ed in buona parte recuperati. Le conseguenze saranno più gravi, ed in parte irreversibili se, come spesso accade, il disagio espresso dal bambino viene ignorato o peggio mal valutato. Non è raro veder giudicare il pianto, gli scatti di collera, la chiusura e una più accentuata irritabilità del bambino, come insopportabili capricci, ai quali rispondere con atteggiamenti repressivi e punitivi, nell’intento di farli cessare.
Il caso di Dario ne è un esempio.
Un viaggio di lavoro.
Quando la madre di Dario, per motivi di lavoro, andò in Africa, il figlio aveva quasi due anni. La donna pensava di averlo lasciato in buone mani in quanto aveva affidato il bambino al padre e ad una tata che viveva stabilmente in famiglia. Dopo alcuni mesi, al ritorno dall’incarico espletato brillantemente, non immaginava di dover affrontare una così brutta e difficile situazione. Dario manifestava chiari segni di sofferenza e di regressione: non la guardava più negli occhi, appariva depresso, pensieroso, piangeva e gridava per un nonnulla, aveva dimenticato molte delle parole che conosceva. La madre, pensando che questi comportamenti ed atteggiamenti del figlio fossero dovuti a dei capricci, piuttosto che farsi perdonare, coccolandolo maggiormente, ha pensato bene di avere nei confronti del piccolo un atteggiamento più fermo e deciso, conclusosi con l’iscrizione in una scuola materna dove la madre sapeva insegnava una maestra particolarmente burbera e severa. Infine, arguendo che la tata che aveva lasciato con lui durante la sua assenza, non avesse fatto bene il suo dovere, non stimolando la comunicazione del figlio, l’aveva licenziata su due piedi. Quando verso i cinque anni arrivò alla nostra osservazione, la situazione psicologica del bambino si era ulteriormente aggravata. Egli presentava marcato disinvestimento in tutte le relazioni, sia verso i coetanei, sia verso gli adulti; momentanei ma ripetuti scollamenti con la realtà; grave instabilità ed irrequietezza motoria; atteggiamento triste; importanti disturbi nella comunicazione con un linguaggio molto ridotto e con presenza di ecolalie e uso di frasi e parole improprie. Il bambino presentava, inoltre, ecoprassie, facili crisi di pianto e, se contrariato, atteggiamenti aggressivi.
La madre cercava di contenere con un atteggiamento sempre più deciso e fermo i comportamenti più disturbanti di Dario, ma con scarso o momentaneo risultato.
Non vi è dubbio che alla base dei problemi di questo bambino vi fosse l’allontanamento precoce della madre per alcuni mesi, ma altresì non vi è alcun dubbio che il successivo comportamento della donna, poco incline a farsi perdonare dal bambino il suo errore, ma anzi tendente a reprimere e punire le manifestazioni di sofferenza di Dario, fu un atteggiamento assolutamente non adeguato a risolvere i problemi del bambino. Per cui, senza volerlo, li aveva notevolmente aggravati.
I danni da carenze affettive possono, come abbiamo detto, essere in tutto o in parte recuperati da altre persone che intervengono successivamente. Ciò lo ritroviamo, ad esempio, nei bambini adottati. In questi casi i genitori adottivi si sforzano e spesso riescono a soddisfare le carenze affettive del piccolo, rimediando, almeno in parte, ai danni subiti precedentemente.
Cause delle carenze affettive.
La scarsa e/o saltuaria presenza dei genitori nella vita dei figli è testimoniata dalla realtà quotidiana e da numerose statistiche. Vi è un calo nel numero delle ore trascorse accanto ai figli. Ma vi è anche un calo nella qualità del tempo trascorso accanto alla prole. Negli ultimi decenni se da una parte sono aumentati gli articoli, le opere, i saggi che tendevano a valorizzare l'importanza della presenza genitoriale, dall'altra gli stessi genitori sono stati, e lo sono sempre di più, bombardati da una serie di stimoli che tendono a sviare la loro attenzione, il loro impegno e anche il tempo dedicato alla cura dei figli.
Le cause delle carenze affettive sia acute che croniche sono numerose:
- Molto tempo viene sottratto dagli impegni lavorativi. Nelle moderne società occidentali vi è l'invito, che è quasi un obbligo, dell’impegno di entrambi i genitori nel lavoro intra ed extra familiare. Ciò viene indicato come un segno di modernità, democrazia e necessità per le famiglie e per la società. È anche visto come obiettivo primario da raggiungere per migliorare il PIL (Prodotto Interno Lordo), per dare maggiore ricchezza alla nazione e per permettere la “realizzazione” della donna nell'ambito sociale, così da “liberarla” dalla schiavitù della casa, dei figli e dei fornelli. L'impegno lavorativo esterno alla famiglia è segnalato anche come obbligo per migliorare la cultura della donna e darle maggiore autonomia, così da non essere dipendente dall'uomo. Necessità ed obbligo che servono anche a diminuire le retribuzioni e quindi il costo delle merci, così da rendere il nostro paese più competitivo in un mercato globale.
- La ricerca di un lavoro gratificante e appagante, sia sul piano economico sia sul piano sociale e personale, spinge uomini e donne a cercare attività lavorative non solo lontane dalla propria abitazione ma, a volte, anche lontane dalla propria città o regione.
- Molto tempo è dedicato, sia dagli uomini sia dalle donne a godere, per quanto possibile, di vari tipi di divertimenti: fatti di incontri tra amici, balli, vacanze e cene conviviali.
- Vi è poi l'invito pressante a migliorare l’aspetto fisico o a contenere i danni inferti dal tempo sul viso e sul corpo mediante la frequenza delle palestre, dei centri benessere, ma anche delle sale operatorie per interventi di chirurgia estetica.
- Non mancano poi le esortazioni a migliorare la propria cultura mediante la frequenza di lauree, corsi, master, tirocini, aggiornamenti. Viene affermato continuamente dagli economisti, che una società moderna non si accontenta di una modesta cultura di base, ma necessita di persone che abbiano un bagaglio di istruzione di tipo universitario e oltre.
- Si è inoltre sollecitati a dedicare parte del proprio tempo e delle proprie energie all’agone sociale e politico.
- Non è da sottovalutare, inoltre, la frequente disarmonia all’interno delle coppie e delle famiglie. Quando i genitori impegnano buona parte delle proprie energie nell’affrontare l’altro, nel difendersi dall’altro, nell’accusare l’altro, nel far del male all’altro; coinvolti da sentimenti che sconvolgono l’animo, come la gelosia, l’aggressività, la delusione, la sofferenza e la rabbia, spesso questi genitori non hanno la possibilità di esprimere pienamente quei teneri e delicati sentimenti di cui hanno bisogno i figli. Non vi è, inoltre, sufficiente disponibilità e serenità indispensabili per la cura e l’ascolto dei loro bisogni.
- L’allontanamento da parte degli uomini e delle donne dalla cura dei figli è causato anche dalla perdita di competenza. Nonostante oggi vi sia una notevole maggiore cultura di tipo tecnico - professionale, sono di fatto notevolmente diminuite le conoscenze riguardanti la relazione con i minori, così come sono diminuite le acquisizioni riguardanti una maggiore sensibilità e capacità nel campo affettivo – relazionale. Tutto ciò contribuisce ad allontanare uomini e donne dalle cure dei figli, in quanto i genitori non riescono ad avere nei loro confronti un rapporto sereno e stabile, che è anche la premessa per un rapporto gratificante e appagante.
- Se tutto ciò non bastasse le moderne società devono fare i conti con gli strumenti che hanno invaso le case e le vite degli abitanti delle città e dei paesi: televisori, computer, consolle di videogiochi, telefoni cellulari e così via. Questi strumenti che si propongono di migliorare la comunicazione tra persone, poiché sono utilizzati in maniera massiccia ed impropria, sottraggono energie e tempo che potrebbero essere dedicati al dialogo e alla cura della prole.
Le conseguenze
Le conseguenze delle carenze affettive sono numerose:
- Alle nuove generazioni non sono più trasmessi quegli elementi della cultura di base dell'umanità, del loro territorio e della loro famiglia, che sono l'humus non solo formativo ma soprattutto psicologico sul quale i bambini, gli adolescenti e i giovani hanno bisogno di affondare le radici del proprio Io, per avere stabilità, sicurezza e chiarezza.
- Il legame che dovrebbe unire i genitori ai figli diventa fragile e debole, nonché incapace di sostenere, guidare, confortare.
- La saltuaria, incostante, instabile presenza dei genitori impedisce ai figli quello sviluppo interiore capace di costruire e poi difendere e rafforzare l’Io.
- La scarsa e saltuaria presenza impedisce di affrontare in tempo e con gli opportuni provvedimenti i disagi nascenti. Sempre più spesso uomini e donne, padri e madri “non hanno tempo”. Non hanno tempo da dedicare ai figli nel momento in cui dovrebbero contribuire alla loro crescita e alla loro formazione, inoltre, anche quando si evidenziano gravi problematiche gli stessi genitori non hanno tempo per affrontare il disagio dei figli con la necessaria costanza, dedizione e collaborazione con gli operatori. Sempre più spesso, negli ambulatori di neuropsichiatria infantile, quando il bambino, nonché la famiglia, necessitano di una terapia o di un sostegno psicologico, è presente uno scaricabarile: i papà lasciano alle madri questo compito, le madri, troppo occupate, fanno venire le nonne o affidano alle tate o alle baby - sitter l’incombenza di accompagnare il bambino per la terapia.
- La mancanza di un legame profondo e valido tra i genitori ed i figli instaura frequenti e numerosi conflitti, con conseguente reciproca diffidenza, rabbia, livore, aggressività e insoddisfazione.
Il bambino che scriveva sugli alberi.
‹‹C’era una volta un bambino che andava scrivendo su tutti gli alberi che incontrava “ciao”, perché si sentiva solo e non aveva amici. Quello che faceva era un modo per fare amicizia con gli alberi anche se sapeva che non si doveva fare. Un giorno lo incontrò un taglialegna e con la scusa che pure lui aveva a che fare con gli alberi, gli diede qualche consiglio. Questo taglialegna gli servì come amico per confidarsi e per esprimere tutto quello che aveva dentro, così con calma affrontarono questo discorso e questa persona lo convinse che era una cosa sbagliata sia per lui che per gli alberi. Il taglialegna non si fermò qua, ma andò a dirlo a tutte le persone che conosceva per trovare qualche amico al bambino. Così organizzò una festa e invitò tutti gli amici e i parenti ed ebbe tanti amici››.
Questo racconto è indicativo su cosa desiderano i bambini. Essi hanno bisogno di amici e se hanno difficoltà a trovarli si accontentano anche di “amici alberi”. Ma è solo quando qualcuno li aiuta a trovare amici veri, in carne e ossa, che essi sono veramente felici e soddisfatti.
Un cuore in cielo
Una bambina di dieci anni che a causa di gravi carenze affettive ed educative da parte di entrambi i genitori, viveva in un istituto di suore insieme ad un altro fratello ed un’altra sorella, vede soltanto in Gesù, nella Madonna e nei Santi la possibilità di avere amore e attenzioni:
‹‹C’era una volta un cuore che stava in cielo. Era grande e bello e rosso d’amore. Questo cuore era di una persona femmina, piccola, che aveva due anni, era una bambina e si chiamava Alessia, che si era fidanzata con Gesù e gli aveva dato il suo cuore. Alessia aveva una famiglia e i suoi genitori erano contenti che si era fidanzata con Gesù. Gesù era contento e la mamma Maria e i discepoli gli buttavano fiori sul cuore e a lui gli faceva piacere stare con loro, era contento…I suoi genitori erano contenti che si era fidanzata con Gesù››.
Certamente il vivere in un istituto di suore ha avuto il suo peso nel racconto della ragazza che sceglieva di fidanzarsi con Gesù. Ma quello che colpisce in questo racconto è la sua identificazione con una bambina piccola di appena due anni, mentre la ragazza ne aveva dieci. È come se la ragazza desiderasse regredire ad un’età nella quale si immagina che tutti i bambini siano felici. Accanto a questo desiderio di essere molto piccola, desiderio dovuto alle gravi carenze affettive presenti nella sua famiglia, vi è, in questo racconto, anche un desiderio di fuggire dalla triste realtà nella quale la ragazza si trovava a vivere.
Una bimba nella tomba.
‹‹C’era una volta una bambina che si chiamava Tindara. Un giorno morì perché i suoi genitori non la volevano più. Quando l’hanno messa nella tomba lei era viva, ma poiché non riusciva a liberarsi morì.››
Questo racconto è della stessa ragazza. In questo caso esprime nel modo più truce le sue reali sofferenze (un giorno morì perché i suoi genitori non la volevano più), ma anche gli incubi più terribili (Quando l’hanno messa nella tomba lei era viva, ma poiché non riusciva a liberarsi morì). Ci chiediamo: liberarsi da cosa? Probabilmente si riferisce al bisogno di scacciare da sé il peso terribile che opprime i bambini affetti da carenze affettive!