Così come il bambino individua dalle caratteristiche dell’ambiente se questo è adeguato o non ai suoi bisogni e alle sue esigenze, anche le persone che stanno accanto a lui: la madre, il padre, gli altri familiari e l’ambiente sociale nel quale egli vive, danno il proprio giudizio sul neonato e poi sul bambino, durante la sua crescita.
Questi giudizi e queste valutazioni hanno dei tratti oggettivi ma hanno anche molti elementi soggettivi legati alle persone che si confrontano con il nuovo essere umano. E così come agli occhi del bambino vi può essere una madre buona o una cattiva, agli occhi dei genitori e degli altri familiari vi può essere un bambino facile o un bambino difficile, in definitiva un bambino buono o un bambino cattivo. Gli elementi che concorrono a designare agli occhi e al cuore delle persone che stanno accanto al piccolo essere umano, una maggiore o minore sottolineatura degli aspetti positivi o negativi e quindi una maggiore o minore accettazione, sono numerosissimi ma anche di difficile valutazione, non solo da parte di chi esamina il problema dall’esterno ma anche e soprattutto da chi è coinvolto nella relazione.
Per SULLIVAN ‹‹La personificazione del bambino fatta dalla madre non è il bambino ma bensì un’organizzazione di esperienze in sviluppo che ha luogo nella madre e che comprende molti fattori il cui rapporto con il bambino reale è remotissimo.››[1] Nella personificazione sono compresi molti elementi. Certamente hanno influenza le sue caratteristiche genetiche: vi sono neonati che accettano molto più di altri gli errori e le mancanze di attenzione della madre, mentre vi sono bambini che protestano e si arrabbiano per un nonnulla. Accanto alle caratteristiche che il bambino porta nei suoi geni, l’immagine che noi abbiamo del bambino è influenzata da molti altri elementi.
1. Vi è intanto la maggiore o minore desiderabilità dell’evento. Questo bambino era desiderato o no? E da chi era desiderato? Solo dalla madre, solo dal padre, da entrambi? Era desiderato dai nonni? Oppure essi temevano che questa gravidanza, che in qualche modo li avrebbe coinvolti nell’aiuto e nell’assistenza alla madre e al piccolo, fosse inopportuna? Ma anche la società, nel suo complesso, come vede la nascita di un nuovo essere umano? Come un nuovo problema da affrontare, in quanto già prima di nascere questo evento comporta impegni e spese per la comunità, oppure come un dono del quale la società civile può godere?
2. Il secondo elemento, altrettanto importante, è legato alle conseguenze immediate della sua presenza. La sua esistenza, a partire dai primi mesi o giorni della gravidanza cosa ha provocato? Cosa ha modificato in senso positivo o negativo? La descrizione di Anna è sintomatica di una buona accoglienza. ‹‹Prima di attendere Mario ero nervosa e irritabile in quanto, fin da piccola, avevo paura di non poter avere dei bambini ai quali invece tenevo molto. Nel momento in cui, invece, ho saputo di aspettarlo mi sono rasserenata, anzi ero così felice che mi sembrava di poter toccare il cielo con un dito. Anche lui, Giulio, mio marito, era contento e non sapeva cosa fare per farmi capire la sua gioia. Mai avevo avuto da lui tante attenzioni prima di allora: mi coccolava, mi diceva che ero diventata più bella, più dolce, mi ha fatto subito un regalo importante. Ma anche i suoi genitori sono stati dolcissimi. Prima di sposarci e anche dopo, mi sentivo guardata da loro in modo strano, con sospetto. Come dire: ‹‹Vediamo chi è questa qua, vediamo cosa sa fare.›› Nel momento in cui ho comunicato loro che aspettavo un bambino, che è stato poi il loro primo nipotino, sono cambiati radicalmente. Mi hanno cominciato a trattare come fossi una regina. Mia suocera mi portava quasi ogni giorno qualcosa di buono da mangiare che lei aveva preparato e hanno subito detto che ci tenevano a regalarci la culla e il passeggino. Per la prima volta nella mia vita ero al centro dell’attenzione di tutti, tranne che del principale del negozio dove lavoro. Ma non mi importava molto di lui! Stavo bene anche perché non ho avuto quei vomiti e quei disturbi di cui si lamentano tante donne. ››
Molto diversa la descrizione di Roberta: “Volevo un bambino a tutti i costi. Anche lui, mio marito, lo avrebbe voluto, ma non faceva nulla e non era disposto a fare nessun sacrificio per averlo. Ogni cosa che i medici ci dicevano di fare: esami, terapie, indagini, protestava. Quando poi ci hanno proposto l’inseminazione artificiale ed io ero d’accordo, mi ha presa per pazza. Sono riuscita a convincerlo e abbiamo provato più volte fino a quando sono rimasta incinta. Io ero contenta perché avevo raggiunto quanto desideravo, ma lui e anche i suoi mi facevano il muso. Non capivano che io mi stavo sacrificando anche per loro. Anche durante la gravidanza i problemi non sono mancati. Avevo paura di perderlo e quindi il minimo accenno di qualcosa che non andava per il verso giusto, mi faceva correre dal ginecologo. Lui e anche i suoi mi accusavano di sperperare i soldi per le mie “fisime”. Abbiamo cominciato a litigare. Io lo incolpavo di non voler bene a me e al bambino che aspettavo. Lui mi accusava di essere una pazza nevrotica per aver fatto tutte quelle cose pur di rimanere incinta di Roberta. Avevamo comprato una casa e c’era da pagare il mutuo e lui mi ripeteva che sarebbe stata colpa mia se, non riuscendo a pagare la rata, avessimo perduto anche la casa. Insomma, un inferno che ha raggiunto il culmine quando ho scoperto, dai numerosissimi messaggini del suo telefonino, che mi tradiva con una ragazza molto più giovane di me. Capisce?Mentre io mi sacrificavo nel fare terapie ed esami per rimanere incinta, lui stava con una ragazza che aveva conosciuta al lavoro e di cui era innamoratissimo, almeno così sembrava dai vari SMS.››
3. Le considerazioni sul bambino si accentuano già dopo il parto. Questo evento è stato facile, difficile o chiaramente patologico, per cui sono stati necessari interventi dolorosi e penosi che hanno provocato nella madre ma anche nel padre e nei familiari emozioni negative? La madre ha sofferto di depressione post partum oppure no? E complessivamente quanto hanno inciso sui genitori ed i familiari il dolore, la sofferenza e la paura e quanto la gratificazione e la gioia?
4. Al desiderio o non di avere un bambino, ai problemi vissuti durante la gravidanza, ai rapporti che si sono modificati o non dopo l’inizio di questo evento o anche prima, bisogna aggiungere le attese nei riguardi del sesso. Il nascituro ha il sesso desiderato da uno degli elementi della coppia, da entrambi, o da nessuno dei due? Ha il sesso che i nonni attendevano o no?
5. Sul giudizio dei familiari, ma soprattutto della madre assume, inoltre, molta importanza la facilità o la difficoltà di governo e di cura del bambino. Il bambino facile acquista rapidamente le abitudini regolari di sonno, veglia, alimentazione; si adatta facilmente alle abitudini e agli orari e alle necessità dei genitori e della famiglia; piange poco, accetta i nuovi alimenti che gli vengono proposti e aumenta regolarmente il suo peso; non si sporca in continuazione. Il bambino difficile, invece, si alimenta male, piange frequentemente, non aumenta di peso come dovrebbe; i suoi momenti di sonno e di veglia non coincidono con le esigenze e le abitudini dei genitori; ha la necessità di essere pulito e cambiato continuamente perché si sporca facilmente. Accanto al bambino facile, al bambino difficile, vi è purtroppo anche il bambino problematico. La presenza di una malattia o di una disabilità complica ancor più l’immagine che di lui ne hanno i genitori con possibili sentimenti di incapacità, delusione, rabbia, colpa e/o accuse reciproche.
6. Sul giudizio dei genitori e dei familiari incide poi l’aspetto esteriore del neonato. Stimolano sentimenti, riflessioni ed emozioni, il suo peso alla nascita, il colore dei capelli e della pelle, i tratti del viso, i particolari del corpo. Intanto vi è il gioco, che non è proprio un gioco in quanto le sue conseguenze possono essere rilevanti, sulle sue somiglianze: ‹‹Somiglia a mio marito che amo o a mia suocera che non posso sopportare? ›› ‹‹Somiglia al bambino che avevo sempre immaginato oppure è molto diverso, addirittura è l’opposto a quello sognato? ›› ‹‹È un bambino giudicato bello dagli altri, oppure le persone che vengono a farmi visita lo guardano con mal celato disappunto? ›› Queste ed altre mille domande non sono ininfluenti nel momento in cui si instaurano i primi rapporti con il figlio. Le conseguenze possono essere notevoli. Poiché, spesso, noi troviamo negli altri quello che cerchiamo, se pensiamo che quel bambino che abbiamo in braccio debba essere buono come suo padre, quel bambino sarà buono come il padre. Ma se immaginiamo che debba essere una “peste” come il nonno, la nonna o lo zio al quale somiglia, egli con molte probabilità ci apparirà e forse lo diventerà veramente un bambino “pestifero”. Sarà il bambino cattivo che ‹‹ non mi fa dormire nelle ore in cui sono abituata a riposare.›› Sarà il bambino che provoca problemi: ‹‹Non si attacca bene al seno e mi costringe a usare il fastidioso tiralatte.›› Sarà il bambino aggressivo: ‹‹Gioca a graffiarmi e farmi male, mordendomi i capezzoli.›› Sarà il bambino capace di generare ansia perché ”non aumenta di peso e vomita quanto ingerito.›› In seguito sarà il bambino capriccioso che ‹‹piange continuamente e continuamente si ammala e mi costringe a rinunziare a tutti i piccoli piaceri della vita.››
Da quanto abbiamo detto si può dedurre facilmente che così come per il bambino vi sono una madre molto buona e una molto cattiva e tra queste due categorie vi sono tutti gli altri tipi di madri, il giudizio sul bambino potrà oscillare tra un bambino molto buono e uno molto cattivo e tra questi due estremi vi sono molti altri giudizi intermedi. Se nei confronti del bambino buono i genitori si sentono gratificati e soddisfatti, lo stesso non avviene nei confronti del bambino cattivo, difficile o problematico verso il quale essi possono avvertire risentimento, aggressività, sensi di colpa, sentimenti di impotenza.
I giudizi su se stessi - L'autostima
Altrettanto importante è il modo con il quale i genitori ed il bambino giudicano se stessi. Il giudizio di sé nasce dalla relazione e condiziona la relazione stessa. ‹‹Se io, madre, non riesco a tranquillizzare il bambino sarà per colpa sua oppure sarà per colpa mia?›› Lo stesso potrà dire il bambino: ‹‹Se io faccio disperare la mamma, può darsi che sia per colpa sua ma può darsi che sia colpa mia, perché io, come a volte lei dice, sono un bambino monello e cattivo.››
Gli effetti [2]di una valutazione positiva di se stessi li conosciamo bene: ‹‹Se io sono bello, buono e bravo, sicuramente rendo contenti mamma e papà, gli altri familiari, e tutti quelli che si avvicinano a me e, quindi, io valgo molto.›› Una buona valutazione di sé rafforza l’Io, stimola la maturazione, fortifica il piacere del rapporto e della collaborazione con gli altri, aumenta la sensazione di serenità, calma e pace interiore, con la conseguenza che migliorano le capacità e la disponibilità verso tutti gli apprendimenti: linguaggio, motilità, autonomia ecc..
Se invece vi è una valutazione negativa di se stessi, è come se il bambino dicesse: ‹‹Io sono uno che fa soffrire, sono cattivo, sono brutto, valgo poco, per cui non sono uno da stimare, non sono uno d’amare e da avvicinare ma da allontanare.›› In questi casi la sofferenza che il bambino immagina di trasmettere agli altri, si rivolge come in uno specchio verso di lui. Aumentano l’ansia, la paura degli altri e del mondo, aumenta la chiusura, diminuiscono le capacità relazionali, si altera il rapporto con la realtà, peggiorano le capacità di apprendimento.
Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" -(Volume unico)
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[1] H.S. SULLIVAN, Teoria interpersonale della psichiatria, Milano, Feltrinelli Editore, 1962, p. 135.
[2] Cfr. H.S. SULLIVAN, Teoria interpersonale della psichiatria, Milano, Feltrinelli Editore, 1962, p. 188