Per stereotipie si intende la ripetizione di una sequenza invariata e costante di comportamento. Esistono pertanto molti tipi di stereotipie: motorie, nella comunicazione scritta o parlata, nei giochi, nel disegno e nei comportamenti, e così via.
Le stereotipie motorie
Queste possono riguardare le dita, per cui il bambino le agita o ruota davanti agli occhi. Possono coinvolgere le mani, che sono torte, sventolate in aria o davanti agli occhi, strofinate oppure sbattute violentemente una sull’altra.
Le stereotipie motorie possono interessare un particolare oggetto personale, che il bambino con disturbi autistici ama tenere sempre in mano: una matita che viene battuta sistematicamente sul pavimento o sul muro, una cintura, un pezzetto di tessuto sfilacciato o un calzino girato tra le dita. Le stereotipie motorie possono interessare anche il capo, che può essere continuamente ruotato oppure battuto in modo ritmico su un muro o su un mobile.
Altre stereotipie possono riguardare la bocca, per cui il bambino mastica continuamente o fa delle strane smorfie, esce la lingua o sputa. Se interessano il tronco, si dondola continuamente avanti e indietro, da un lato all’altro. Quando coinvolgono tutto il corpo, egli corre intorno alla stanza o per la casa, senza alcuno scopo apparente.
Le stereotipie negli interessi.
Quando queste sono presenti i bambini si dedicano in maniera assorbente ad uno o più tipi di interessi ristretti anomali o per intensità o per focalizzazione e appaiono sottomessi ad inutili abitudini o rituali specifici.
Le stereotipie nella comunicazione
Queste possono riguardare il linguaggio o anche la scrittura. Alcuni bambini con Disturbo Autistico emettono continui suoni e gridolini con la voce, o amano fare sempre le stesse domande, anche se sanno benissimo le risposte. Altri scrivono lunghi elenchi di parole, frasi o nomi o richiedono di vedere sempre lo stesso film o lo stesso cartone animato.
Il bambino ama fare degli elenchi di familiari, conoscenti, alunni, insegnanti; scrive le stesse lettere, le stesse parole o dei numeri a caso.
Le stereotipie possono riguardare anche i contenuti dei racconti.
Michele, un bambino di sette anni con autismo ad alto funzionamento, dopo aver fatto un disegno, così descriveva la ricerca di un tesoro:
Alla ricerca di un tesoro
‹‹Un bambino di nome Carlo che cercò un tesoro, tre passi in giù, due passi a sinistra, quattro passi diritti, due passi a sinistra, due passi diritti, un passo a sinistra. Tre passi diritti in alto, tre passi a destra, nove passi diritti in giù, sei passi a sinistra, due passi diritti in giù, due passi a sinistra, un passo giù, un passo diritto, un passo su, cinque passi diritti, tre passi in alto, due passi diritti, un passo in giù, quattro passi diritti››.
E così via per molte altre indicazioni.
Nelle stereotipie è come se il bambino entrasse in una spirale, senza riuscire più a uscirne. Tanto che Michele, avendo capito questo, alla fine prendendo il foglio nel quale il terapeuta stava scrivendo il suo racconto lo finisce con due semplici frasi, tra l’altro poco coordinate tra loro: ‹‹era nel suo giardino (il tesoro) e lo trovò, e glielo ha chiesto alla mamma››.
Anche Fabrizio, di quattordici anni, in una fase del suo recupero dalla regressione psicotica della quale aveva sofferto, presentava dei contenuti stereotipati, quando riferiva i suoi racconti:
Luisa, una bambina monella
Cera una volta una bambina Luisa, era carina, un pochino monella, buttava le cose a terra. Aveva un papà che le ha dato botte quando buttava le cose a terra e ha pianto. Allora la bambina diceva: “Non lo faccio più” e il papà: “Se lo fai ancora ti do botte. Poi hanno fatto pace e sono andati a casa. Qui c’era la mamma che era un pochino cattiva, perché le ha dato botte. La bambina diceva: “Non lo faccio più”. Hanno fatto pace e si sono abbracciati. In questa casa c’era un’altra sorella, ci danno pure botte, perché fa la monella, perché buttava le cose a terra. I genitori erano arrabbiati con lei e le danno botte. E lei diceva: “Non lo faccio più”.
Le stereotipie nei comportamenti
Sono spesso caratterizzate da richieste sempre uguali. Ad esempio di premere il bottone dell’ascensore, di bagnarsi le mani, di guardare la luce o anche di battere la testa sul muro. Possono rientrare nelle stereotipie, quindi, anche dei comportamenti di apparente autolesionismo.
Le stereotipie nei giochi.
Il bambino tende ad usare lo stesso giocattolo sempre allo stesso modo per un tempo infinito. Il bambino fa girare una trottolina, un pezzetto di cartone o di plastica, fa passare davanti agli occhi un oggetto come su uno scanner, versa dell’acqua da un recipiente all’altro, fa scontrare una macchinina con l’altra e così via.
Le stereotipie del disegno.
Sono anch’esse molto evidenti. I bambini che ne soffrono tendono a disegnare sempre lo stesso elemento che, per qualche motivo, in quel momento è predominante nel loro animo, senza che le capacità logiche o razionali riescano a fare da filtro a quanto disegnato. Pertanto questi bambini possono rappresentare una serie notevole di pali uno dopo l’altro, una casetta con tante, troppe finestre e porte, un cielo con più soli o più lune, un mare costellato da un numero notevole di boe, un certo tipo di auto, e così via.
Stereotipia nel disegno: alternanza di alberi e omini tutti uguali
Le stereotipie degli interessi.
Il bambino si dedica completamente ed esclusivamente a conoscere ogni aspetto di animali che colpiscono la sua fantasia, come i dinosauri, i mammiferi marini e altri, oppure presta in modo esclusivo la sua attenzione a un particolare periodo storico, a un mezzo di trasporto, come ad esempio, un tipo particolare di auto o di nave.
Le stereotipie dei comportamenti.
Il bambino vuole rivedere sempre lo stesso film, lo stesso cartone animato; desidera ascoltare la stessa musica, ama premere all’infinito il pulsante della luce, vuole andare su e giù con l’ascensore, si bagna continuamente le mani, guarda una lampadina accesa, gira continuamente nella stanza, e così via.
I comportamenti stereotipati possono variare nel tempo per caratteristiche, intensità e frequenza, in base ai cambiamenti ambientali e ai vissuti del bambino in un determinato momento.
Per Bettelheim, pur essendo le stereotipie molto numerose, in ogni bambino dette manifestazioni tendono a ripetersi in modo costante e peculiare.[1]
[1] Bettelheim B. (2001), La fortezza vuota, Milano, Garzanti, p. 179.
I comportamenti ripetitivi nei soggetti normali
I comportamenti ripetitivi e le resistenze al cambiamento non sono, di per sé, condotte caratteristiche di una patologia. Molti comportamenti ripetitivi sono presenti nei soggetti normali. Molte mamme possono confermare come i bambini, specie se piccoli, amino molto che le cose si svolgano secondo una modalità ben conosciuta e più volte collaudata. Spesso i loro figli non accettano di mangiare con una tazza diversa dalla propria, così come rifiutano di utilizzare, per fare i loro bisognini, un vasetto che non sia quello consueto. Allo stesso tempo vogliono che sia una persona ben precisa a raccontare la favoletta della buona notte e un’altra a preparare la pastina. Le mamme, inoltre, sono concordi nell’osservare come più il bambino è nervoso, stressato o psicologicamente disturbato, maggiori sono queste pretese, ma anche maggiori sono le proteste quando non sono accontentati o non si tengono in giusta considerazione i loro bisogni del momento.
Sintomi di questo tipo, infatti, sono presenti nei bambini e negli adulti con tratti ossessivi. Questi bambini e questi adulti non sopportano non solo i quadri storti ma anche che si cambi posto a una statuina o che si modifichi il suo orientamento. Per quanto riguarda poi i movimenti stereotipati, non è raro trovare persone considerate perfettamente normali le quali, per scaricare la tensione che si accumula interiormente mentre leggono, ripetono o studiano, muovono tra le mani degli oggetti particolari: sigarette, chiavi, penne, matite, biglie, fermaglietti ecc.. Questi comportamenti sono ancora più evidenti in situazioni difficili e stressanti come l’affrontare un esame.
A questo riguardo, la storia di Dario è emblematica.
Dario, mentre frequentava il liceo, aveva l’abitudine di tenere una penna in mano durante le interrogazioni. Aveva notato, infatti, che questo semplice gesto di girare un oggetto tra le dita faceva molto diminuire l’ansia che accompagnava quei momenti stressanti della sua vita di studente. Mediante quel semplice movimento le idee acquistavano maggiore fluidità, mentre si schiariva la confusione mentale iniziale che provava quando il professore lo chiamava per andare alla cattedra; insomma aveva notato che questo piccolo accorgimento serviva a farlo rispondere meglio e con più sicurezza, così da prendere dei voti migliori. Finito il liceo si era iscritto alla facoltà di medicina. Per Dario l’esame di Biologia era il primo del suo corso di laurea, pertanto aveva assistito a tutte le lezioni, aveva studiato per mesi, effettuando i suoi bravi schemi concettuali, così da ricordare ogni particolare della materia, insomma si era preparato a dovere. Presentandosi agli esami, tutto sembrava essere sotto controllo. Nonostante ciò, quando fu chiamato e si sedette sulla sedia posta di fronte al tavolo dei docenti, nella sua testa le idee, a causa dell’ansia notevole, giravano e si muovevano su e giù come i cavallini della giostra. Pertanto, quando il professore gli fece la prima domanda, non riuscì a focalizzare per un bel pezzo alcuna risposta coerente. Mentre sudava abbondantemente, vedeva come dietro un velo grigio il viso del professore che attendeva pazientemente che lui iniziasse a parlare. Ma niente! Gli argomenti che aveva così ben studiato sembrava si fossero volatilizzati dalla sua mente.
A questo punto come un naufrago in balia delle onde, Dario si accorse di avere bisogno di un salvagente. Con le ultime forze residue chiese al professore se poteva prestargli la sua penna. Il professore lo guardò sbalordito, ma acconsentì alla strana richiesta. Nel momento in cui quell’oggetto “magico”, cominciò a girare tra le sue dita, sudate per l’emozione, ogni cosa e ogni idea tornò al suo posto, per cui fu facile rispondere brillantemente, non solo a quella domanda ma anche alle successive. Dopo quella prima traumatica esperienza, ogni volta che la mattina si alzava per andare a sostenere un esame, la prima cosa che metteva nel taschino era il suo oggetto magico: una normale, semplice penna!
D’altra parte molti lavori ripetitivi, che in passato tenevano occupate soprattutto le donne, come sbucciare legumi e mandorle o lavorare a maglia, erano attività molto amate, in quanto avevano il dono di rilassare, proprio perché erano effettuate con gesti sempre uguali.
Anche in molte pratiche religiose sono presenti numerose componenti nelle quali è frequente l’elemento ripetitivo: ad esempio le litanie dei Santi o l’uso del Rosario, nel quale le stesse preghiere sono ripetute più volte. Rosario che, tra l’altro, è presente in diverse religioni ed è praticato da centinaia di milioni di persone. Quello cristiano è dedicato soprattutto a Gesù e alla Madonna, ma anche ai Santi. Quello musulmano: il Tasbeeh, è dedicato ad Allah. Nella religione indù viene usato il Japamala japa. Tutte queste pratiche avvicinano alla Divinità ed ai Santi, ma hanno anche l’effetto di dare a chi le pratica più serenità, più pace, più distensione.
La ritualità, cioè la ripetizione di determinati gesti e parole, non solo è presente nelle varie religioni ma anche nella vita di tutti i giorni. Vi sono i cerimoniali dei bambini ma anche quelli degli adulti, prima di andare a letto. Quelli attuati prima e dopo aver fatto all’amore. I rituali dei cartomanti e dei riti magici. I rituali nei matrimoni, nei funerali e nell’ambito delle feste religiose. In queste ultime manifestazioni ogni cambiamento nel cerimoniale, anche se potrebbe apparire logico, moderno o migliore di quello in atto da secoli, viene difficilmente accettato, proprio perché ogni partecipante, giovane o vecchio che sia, avverte il bisogno che tutto si svolga così come nelle precedenti edizioni.
Il cambiamento, sia per l’uomo, sia per gli animali, significa la rottura di un equilibrio. Significa entrare in un mondo sconosciuto e quindi, di per sé carico di incognite. La ripetizione, invece, apporta sicurezza e quindi quiete e benessere psicologico. Il GALIMBERTI U. così si esprime a questo riguardo: ‹‹Questa tesi, oltre che da MALINOWSKI, che nella ripetizione rituale e codificata vede un efficace strumento di riduzione dell’ansia, è sostenuta anche da VAN GENNEP A., che assegna al rito il compito di proteggere l’individuo nelle fasi di passaggio dall’adolescenza all’età adulta, dal celibato al matrimonio, dalla vita alla morte, e simili. Sulla stessa linea è l’interpretazione di De MARTINO E., per il quale il rito aiuta a superare e a sopportare le difficoltà che quotidianamente si incontrano, in quanto fornisce modelli di comportamento rassicuranti garantiti dalla tradizione››.[1]
Le stereotipie, tra l’altro, non sono appannaggio solo degli esseri umani. Questi comportamenti sono presenti in molti animali. Nelle fattorie, negli zoo e nei circhi, i movimenti stereotipati degli animali sono frequenti e sono sistematicamente correlati dai veterinari e dai guardiani a situazioni di basso livello di benessere e stress eccessivo. Tantoché, questi comportamenti non si presentano o cessano quando viene data agli animali la possibilità di svolgere una normale vita sociale e relazionale e viene dato ad essi un sufficiente spazio vitale.
Negli esseri umani, ritroviamo comportamenti stereotipati quando la psiche è sottoposta a un notevole e perdurante stato di tensione. Pertanto questi comportamenti sono frequenti nei bambini provenienti dagli orfanotrofi e brefotrofi, ma anche in alcuni ritardati mentali, come in alcuni soggetti affetti da sordità o cecità ogni qualvolta questi disabili sono mal gestiti dalle famiglie o dalle istituzioni per cui sono sottoposti a carenze affettive, frustrazioni e stress eccessivi.
Nei bambini con Disturbo Autistico
In questi bambini possiamo ritrovare tutti i tipi di comportamenti stereotipati che abbiamo sopra descritto, ma anche una notevole resistenza al cambiamento. Caratteristica è la ritualizzazione di alcune abituali routine quotidiane, quali il mangiare, il lavarsi, l’uscire, che devono svolgersi secondo delle sequenze rigide e immutabili.[2] Alcuni avvertono un terrore fobico quando sono allontanati dal proprio ambiente o se, nell'ambiente in cui vivono, si cambia la collocazione degli oggetti, del mobilio o comunque l'aspetto della stanza. Lo stesso può verificarsi se sono lasciati in disordine gli oggetti: per esempio non accettano il cambiamento della disposizione dei bicchieri e delle posate sulla tavola. In questo caso, alcuni bambini e alcuni soggetti con Disturbo Autistico, cercheranno di riportare le cose nel loro giusto ordine. Se sono limitati nel farlo potranno manifestare una netta inquietudine con crisi di pianto o peggio di collera con auto ed etero aggressività. Per tale motivi i genitori di questi bambini, per evitare crisi d’angoscia nei loro piccoli, sono costretti a ricorrere a ritualizzazioni ed all’uso degli stessi oggetti senza cambiarne la disposizione. Abbiamo detto alcuni, in quanto altri soggetti con la stessa diagnosi dimostrano una passività eccessiva verso i cambiamenti e li accettano come se la cosa non li riguardasse affatto.
Le cause
Le cause dei comportamenti stereotipati possono essere diverse:
A. Possono servire a mettere ordine nella massa d’informazioni sensoriali.
Il bambino con sintomi di autismo, dato il suo stato di notevole ansia e spesso anche di disfunzionalità nei confronti degli apporti sensoriali ed emotivi che non riesce a gestire correttamente, può utilizzare le stereotipie per cercare di mettere ordine e capire ciò che sente e ciò che prova. Dice Morello: ‹‹La mano che sfarfalla davanti agli occhi, mettersi le dita nelle orecchie o coprirsi tutta la testa, sono tentativi di piegare la massa d’informazioni sensoriali alle modalità di percezioni autistiche››.[1]
B. Possono contribuire a diminuire l’ansia interiore.
Anche agli occhi dei profani questi comportamenti sono collegati a dei vissuti di tensione, stress, ansia, preoccupazione o a qualche tipo di disturbo psicologico, tanto che nel vecchio, famoso film “L’ammutinamento del Bounty”, il comandante della nave, che tendeva a rigirare sistematicamente tra le dita delle biglie d’acciaio, per questo suo comportamento, da parte dell’avvocato della difesa degli ammutinati, fu presentato ai giudici come una persona che presentava una grave patologia psichica, per cui i marinai furono assolti. In realtà non era così, poiché quell’uomo non era affetto da alcun problema psicologico tanto grave da giustificare l’ammutinamento che era stato organizzato sulla sua nave. Giacché anche i soggetti che rientrano nella norma, o che presentano lievi problemi psicologici, per diminuire o lenire una qualche tensione interiore, anche non particolarmente intensa, dovuta ad ansia, imbarazzo, eccitazione o altro, hanno bisogno di effettuare alcune ripetute, piccole attività motorie: tamburellare con le dita, lisciarsi o attorcigliarsi i capelli, muovere tra le dita degli oggetti, ad esempio, dei pezzetti di carta, le chiavi dell’auto, una sigaretta, una penna, dei fogli o dei fermaglietti. Tuttavia, anche se persone che sono nell’ambito della normalità, utilizzano spesso piccoli gesti stereotipati, quando sono alla presenza di altre persone cercano di trattenersi, poiché comprendono che sono dei comportamenti socialmente poco accettati.
Ciò non avviene nei soggetti con sintomi di autismo, i quali non riescono a controllare i movimenti stereotipati che, per altro, sono molto frequenti, continui e, soprattutto, sono associati ad altri numerosi segnali che indicano un’importante sofferenza interiore che essi cercano di controllare, diminuire o contrastare.
Per Brauner A. e Brauner F. le stereotipie evidenziano uno stato d’ansia, dovuto a una situazione spiacevole o sgradevole come può essere l’arrivo di uno sconosciuto, l’essere chiamato per un’attività poco gradita, un dolore fisico, uno stato di malessere interiore: [2]
Sotto l’effetto inebriante, il disagio diminuisce, cede. O piuttosto: l’ebbrezza diventa più forte del disagio. Ogni essere normale, in una situazione di disturbo, di tensione, di malessere fisico o morale, è tentato di gridare più forte o di affogare in un mare di movimenti tutto ciò che lo inquieta. Parimenti i bambini autistici con il loro dondolio e le loro stereotipie, annullano nella vertigine dell’ondeggiamento, o di altri movimenti simili, ciò che li disturba e che non riescono a comprendere.[3]
Come dice la dott.ssa Grandin: ‹‹Dondolarmi e girare su me stessa erano altri modi per escludere il mondo quando ero sovraccaricata da troppo rumore. Dondolare serviva a calmarmi››.[4]
La Williams scrive che i gesti che lei effettuava servivano a darle conforto, sicurezza, e rilassamento da tensioni estreme e da frustrazioni.[5] Per la stessa autrice: ‹‹Un modo per far sì che le cose sembrassero rallentare era sbattere le palpebre o accendere e spegnere le luci a tutta velocità››. [6]
Anche per Morello: ‹‹Il movimento calma. Dondolare o muovere la mano e le dita sempre allo stesso modo srotola benessere fisico (…) Le stereotipie lavorano sulla paura, che si placa. Per esempio le persone leggono sdraiate, io solo seduto e dondolo, coprendo le parole con la mano››.[7]
C. Possono essere utilizzate per respingere ogni stimolo ad agire che possa provenire dal mondo esterno.[8]
Con queste attività gli stimoli esterni sono oscurati e dispersi dalle sensazioni che il bambino si provoca da sé. In definitiva, la sua attenzione viene concentrata su sé stesso, in modo da annullare completamente la realtà esterna che viene vissuta come apportatrice di sofferenza. Pertanto egli, al posto di una realtà insopportabile, si crea una realtà privata e personale, che può controllare e gestire mediante le stereotipie. [9] Per tale motivo queste aumentano quando il bambino con disturbi autistici è più teso, triste o solo.
D. Questi particolari comportamenti possono essere collegati a dei momenti di piacevole eccitazione.
Ad esempio quando il papà o la mamma propongono al figlio qualcosa per lui piacevole o interessante: ‹‹Oggi andremo nei boschi vicini alla città e poi al mare e così potrai giocare con le pietre, con le piante ma anche con l’acqua››. In questi casi le stereotipie segnalano una piacevole tensione interiore o un’attesa.
Franciosi così descrive questi tipi di comportamenti:
Osservando i bambini con autismo, le piccole eccitazioni quotidiane possono assumere una valenza gigantesca e innescare reazioni pervasive e totalizzanti, che si manifestano in un’estrema varietà di espressioni spesso bizzarre: urletti, attorcigliamenti di dita, sfarfallamento delle mani, salti, schiamazzi, risate senza fine, giri su se stessi ed altri manierismi motori. [10]
E. Possono essere una modalità per permettere al bambino di proiettare la sua realtà interiore.
In questi casi sono utilizzate per attivare la propria attenzione e concentrarsi su qualcosa che il bambino vuole eseguire. Ciò abbiamo potuto rilevare in due nostri piccoli pazienti. Salvatore, inizialmente batteva continuamente un bastoncino di plastica sul pavimento o su altri giocattoli mormorando delle parole incomprensibili. Nel momento in cui il suo mondo interiore è migliorato, per cui si è fatta strada nel suo animo una maggiore serenità, il suo indistinto mormorio si è trasformato in parole e frasi sempre più chiare e comprensibili. Solo allora abbiamo potuto notare che in realtà il bambino, battendo quel bastoncino a terra o su altri oggetti, stava mimando, anche se con parole e frasi sconnesse, confuse e ossessivamente ripetute, una sua realtà interiore, nella quale erano presenti pochi contenuti ma ripetuti all’infinito. Erano contenuti fatti di scontri e lotte cruente, a volte tra animali, altre volte tra persone.
L’altro bambino, nel quale abbiamo evidenziato questo tipo di stereotipie, utilizzava per mimare le sue storie mentali, alcuni animaletti di plastica che aveva trovato nella stanza dei giochi. Anche in questo caso, quando il suo malessere interiore era notevole, le parole e le frasi che diceva, erano praticamente incomprensibili, spezzate e sconnesse. Solo dopo qualche tempo, quando, mediante interventi opportuni sui genitori e sugli insegnanti, si è ottenuto un buon miglioramento del suo mondo interiore, gradualmente le parole e le frasi sono diventate distinguibili, chiare e con un senso compiuto.
F. Possono servire a fissare nella memoria pensieri e ricordi.
Date le gravi difficoltà nell’attenzione presenti in molti di questi soggetti, la ripetizione di parole o frasi può servire per fissare nella memoria parole, frasi, momenti di vita, ricordi o attività da svolgere. [11]
G. Un altro motivo che stimola il bambino a utilizzare delle stereotipie può nascere dal bisogno di avere delle rassicurazioni o da tentativi di comunicazione.
Ascoltare la stessa musica, guardare lo stesso video, dire le stesse parole, fare gli stessi gesti tranquillizza, poiché gli suggerisce che nulla muterà nella sua vita e quindi che i motivi di angoscia, anche se non possono essere completamente evitati, possono essere almeno controllati.
Scrive la Williams:
Tutto ciò che facevo, dal tenere due dita incrociate al far scricchiolare alzandole, le dita dei piedi, aveva un significato, collegato in genere al tentativo di rassicurare me stessa sul fatto che la situazione era sotto il mio controllo e che nessuno poteva raggiungermi, in qualsiasi luogo fossi. A volte era un tentativo di spiegare alla gente ciò che sentivo, ma era così sottile da passare spesso inosservato, o semplicemente era preso per una nuova trovata di quella matta di Donna.[12]
Anche Morello, quando si trovava in una situazione che gli dava fastidio o preoccupazione, sapeva per esperienza che effettuare delle stereotipie, soprattutto verbali, richiamava l’attenzione delle persone che stavano accanto a lui, stimolandole ad attivarsi per eliminare le causa del suo disagio.[13]
[1] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 66.
[2] Brauner A., Brauner F. (1980, 2007), Vivere con un bambino autistico, Firenze, Giunti, p. 49.
[3] Brauner A., Brauner F. (1980, 2007), Vivere con un bambino autistico, Firenze, Giunti, , p. 49.
[4] Grandin T., Pensare in immagini, Trento, Erickson, 2006, p. 51.
[5] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p.181.
[6] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 45.
[7] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 55.
[8] Bettelheim B. (2001), La fortezza vuota, Milano, Garzanti, p. 69
[9] Bettelheim B. (2001), La fortezza vuota, Milano, Garzanti, p. 180.
[10] Franciosi F. (2017), La regolazione emotiva nei disturbi dello spettro autistico, Pisa, Edizioni ETS, p. 23.
[11] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 55.
[12] Williams D. (2013), Nessuno in nessun luogo, Roma, Armando Editore, p. 32.
[13] Morello P. C. (2016), Macchia, autobiografia di un autistico, Milano, Salani editore, p. 55.
Alcuni suggerimenti
Poiché questi comportamenti provocano istintivamente fastidio ai genitori e ai familiari, giacché possono evidenziare agli estranei la patologia della quale soffre il figlio, la reazione più facile e immediata da parte di questi è spesso quella di cercare di impedirli o limitarli al massimo. Ciò cercano di ottenere mediante vari stratagemmi: a volte provano a distrarre il figlio, altre volte cercano di richiamarlo alla realtà minacciandolo, rimproverandolo o addirittura punendolo, ogni volta che non ascolta i loro desideri o rimproveri.
Tuttavia, data la necessità interiore presente nel bambino, pensiamo sia assolutamente inutile e controproducente lottare per limitare o cercare di estinguere queste manifestazioni, mediante rimproveri o peggio con l’uso delle punizioni. È molto meglio impegnarsi ad offrire al bambino un ambiente più sereno, gioioso e dialogante e, nello stesso tempo, utilizzare alcune delle sue stereotipie accettandole e trasformandole in un gioco da fare insieme. In definitiva. bisogna occuparsi non tanto dei comportamenti cosiddetti “problematici”, ma dei processi psichici che stanno dietro a questi comportamenti.[1]
Riccardo, un bambino con disturbi autistici di quattro anni, sembrava avesse la passione degli ascensori, tanto che amava pigiare i tasti della cabina, così da andare su e giù tra i vari piani del palazzo dove abitava. Naturalmente i suoi genitori glielo impedivano sistematicamente, per timore di essere richiamati dagli altri condomini. Il bambino cercava di manifestare il suo disappunto gridando e attaccandosi alle porte dell’ascensore. Quando i genitori forzandolo, riuscivano a farlo entrare in casa, per protesta sbatteva con furore tutte le porte che trovava aperte.
Quando è venuto nel nostro centro, ci siamo subito accorti della disputa che era in corso tra lui e i suoi genitori: il bambino non voleva uscire dall’ascensore e chiedeva gridando di premere i tasti per farlo muovere su e giù tra i vari piani del palazzo, mentre i genitori, dapprima dolcemente, poi sempre con più forza e determinazione lo spingevano e lo tiravano, affinché uscisse dalla cabina dell’ascensore ed entrasse nell’anticamera del centro.
Appena mi sono accorto di questa disputa, sono uscito subito e, prendendolo in braccio, affinché potesse premere a suo piacimento i suoi desiderati pulsanti, ci siamo mossi sue giù nei vari piani del palazzo per almeno un quarto d’ora, mentre i genitori aspettavano al piano, stupiti e sconcertati per il nostro comportamento, da loro sicuramente giudicato come molto permissivo. Solo quando il bambino ha detto: ‹‹mamma››, ho capito che era ben sazio di questo gioco che avevamo fatto insieme e così, senza che lui protestasse, siamo rientrati, mano nella mano, nello studio per iniziare il colloquio con i genitori e la sua osservazione.
Naturalmente il primo argomento discusso con i genitori riguardò proprio questa passione del figlio per gli ascensori. Il mio consiglio, accettato da papà e mamma con molta difficoltà, fu di accontentarlo in questo come in tutti gli altri suoi desideri. Dopo appena una settimana, osservando che il bambino non aveva più protestato entrando, ho chiesto se il figlio amava sempre andare su e giù con gli ascensori. I genitori, quasi a malavoglia, confermarono che questa stereotipia comportamentale era nettamente diminuita.
Accettare le stereotipie, anzi trasformarle in un divertente e piacevole gioco da fare insieme, si rivela spesso il modo migliore per farle estinguere ma anche il modo migliore per entrare in contatto profondo e intimo con il proprio bambino, al fine di capire meglio i moti del suo animo e farsi meglio accettare da lui. Il motivo è semplice da comprendere: il bambino quando ha trovato finalmente qualcuno, un adulto o meglio i suoi genitori, che non giudicano sconveniente, strano o disdicevole quello che fa, che è poi anche quello di cui ha bisogno in quel momento, ma anzi questi adulti lo fanno diventare un momento di piacevole gioco da fare insieme, prova verso questi immensa gratitudine e gioia. Questi sentimenti lo rasserenano e instillano nel suo animo la necessaria goccia di fiducia negli esseri umani e nel mondo. Fiducia di cui egli ha molto bisogno per riuscire a rinunciare all’isolamento che si era imposto e quindi poter iniziare o riprendere, un cammino di crescita e maturazione. In pratica noi consigliamo vivamente i genitori, i terapisti o gli educatori di non combattere contro quelle che pensano siano delle “cattive abitudini”, ma di accettarle, in modo tale che dal miglior rapporto che si verrà a creare siano eliminate le cause di dette manifestazioni.
[1] Franciosi F. (2017), La regolazione emotiva nei disturbi dello spettro autistico, Pisa, Edizioni ETS, p. 18.
E' pertanto importante offrire al bambino un ambiente più sereno, gioioso e dialogante, anche mediante l'uso della tecnica del Gioco Libero Autogestito, che si è dimostrata, in questi casi notevolmente efficace.
Il gioco libero autogestito
In questa modalità di gioco è soltanto il bambino interessato alla terapia a scegliere il gioco o l’attività da effettuare. L’adulto o il terapeuta, come un amico particolarmente disponibile e attento ai bisogni del minore, ha soltanto il compito di aiutare, incoraggiare e sostenere il bambino nelle sue attività e nelle sue istanze del momento. L’adulto avrà il ruolo di un affettuoso e paziente compagno di giochi che non critica e non mette in discussione quello che egli fa, tranne che la sua attività non comporti un reale e imminente pericolo per l’incolumità sua o di altre persone. In definitiva, nella tecnica del “Gioco Libero Autogestito” è lui, il bambino molto disturbato, il vero leader, mentre l’adulto o il terapeuta assume il ruolo di gregario
Questo tipo di terapia parte dall’assunto che per l’adulto, anche molto preparato, attento e sensibile, è difficile, se non impossibile, conoscere ciò che al bambino è utile e che può farlo stare bene, in un determinato momento, in quanto le conoscenze che egli ha della vita intima di un minore in un determinato frangente, sono molto scarse, incomplete e frammentarie. Inoltre la sua visione di adulto, le sue informazioni, ma anche i bisogni personali del momento, collaborano a deformare il suo giudizio sulla vita intima di questi bambini, impedendogli di vedere al di là delle proprie conoscenze razionali.. A ciò si aggiunga che le emozioni presenti nella psiche di questi minori sono talmente lontane dalla realtà vissuta quotidianamente dagli adulti, sono talmente intense, mutevoli e, spesso, anche tanto confuse e contraddittorie, da risultare, per gli adulti di difficile, se non impossibile comprensione.
Questo tipo di gioco permette di raggiungere l’obbiettivo di una migliore serenità interiore e di una maggiore fiducia negli altri, nel mondo e in se stessi, in quanto il piccolo viene messo al riparo da ogni possibile intrusione esterna. Intrusione che, in questi bambini, potrebbe comportare l’accentuazione o la stabilizzazione dell’ansia interiore e quindi del suo malessere. Ciò in quanto, più gravi sono le problematiche dei bambini con disturbi psicoaffettivi, maggiore è la loro sensibilità nei confronti delle frustrazioni. Pertanto ogni iniziativa degli adulti o dei terapeuti, anche la più lodevole, che però non è stata da questi desiderata e richiesta in quel momento, può essere giudicata come un’intrusione e una violenza da parte del mondo esterno.
Riscopriamo il bambino che è in noi
Questa tecnica richiede intanto che l’adulto riscopra il bambino che è in sé. Ciò lo aiuterà a capire meglio la realtà infantile. Il ricordare ed il ripensare alle piccole gioie della propria infanzia, il ricordare il piacere provato per le piccole conquiste e per i gesti degli adulti che arricchivano di serenità, sicurezza e gioia il suo cuore, così come il riscoprire le proprie paure infantili, le tante delusioni subite, gli insoliti dispiaceri, i facili momenti di collera e rabbia, tutti questi ricordi saranno importanti nel suggerirgli durante la terapia, gli atteggiamenti più giusti e le parole più adatte da usare nei confronti del piccolo paziente.
Rispettiamo il suo spazio fisico e psicologico
Poiché questi bambini hanno paura del mondo e degli altri esseri umani, l’adulto ha il dovere di limitare al minimo l’impatto che potrebbe avere nel loro animo la loro presenza fisica, che non deve in nessun momento essere avvertita come invasiva o coartante. Lo stesso dicasi per l’invadenza psicologica.
Inizialmente il posto migliore è quello più lontano da lui. E lì, con animo sereno, disponibile e fiducioso, aspettare. Nel momento in cui noteremo che ha meno paura, meno diffidenza, più fiducia, si potrà diminuire questa distanza iniziale avvicinandoci a lui per collaborare ai suoi giochi del momento. Se però si teme di essere inopportuni, è meglio aspettare che sia lui ad avvicinarsi. Abbiamo notato che, almeno inizialmente, questi bambini fanno ciò mediante dei contatti apparentemente casuali o mediati da un oggetto o da un gioco, mentre successivamente, il desiderio di una maggiore vicinanza fisica e di un contatto, sarà espresso più direttamente.
Parliamo poco
Poiché questi bambini non amano le parole, ma una vicinanza affettuosa e rispettosa è bene evitare di sommergerli di parole nella speranza che, ascoltando le nostre parole e frasi ripetute più volte possano imparare a parlare bene o a parlare, se ancora non hanno acquisito il linguaggio verbale.
Il bambino con Disturbo Autistico non ha bisogno che qualcuno gli insegni a parlare ma di qualcuno che gli faccia avere fiducia negli altri così da indurlo a volere comunicare. Egli ha bisogno anche di qualcuno che lo liberi dalle gravi paure e dall’intensa ansia interiore, così che abbia la possibilità di elaborare e ricordare i suoni, le immagini e le parole che gli permettano di dialogare.
Giochiamo ai suoi giochi
Mettiamoci nella condizione d’animo di assistere e accompagnare con piacere e gioia il bambino di cui ci occupiamo nel gioco da lui voluto e scelto in quel momento, per il tempo che lui desidera e con le modalità da lui scelte. Impariamo, quindi, a partecipare ai suoi giochi essendo noi adulti i gregari e lui, il piccolo paziente, l’incontrastato leader.
Il motivo di questo inusuale approccio sta nel fatto che questi bambini spesso reagiscono negativamente a tutto ciò che proviene dal mondo esterno, in quanto sono estremamente diffidenti e reattivi nei confronti degli altri esseri umani. Pertanto ogni iniziativa esterna a loro li blocca, li disturba, li mette in ansia o peggio fa aumentare di molto la diffidenza verso gli altri, la loro ansia e le loro paure che già sono a livelli molto alti. Per evitare, quindi, di aggravare il loro mondo interiore e il difficile rapporto che essi hanno nei confronti degli altri, limitiamoci soltanto a collaborare attivamente ai loro giochi, anche se possono sembrarci ripetitivi, inutili, sciocchi, o peggio, crudeli e perversi.
Evitiamo, quindi, di proporre le nostre attività e i nostri giochi, anche se questi, a nostro parere, ci sembrano più intelligenti, più utili, più ricchi di valenze educative e costruttive, più interessanti e vari. Purtroppo la nostra esperienza continuamente ci conferma che all’animo e alla sensibilità di questi bambini, le nostre proposte di gioco, se non esplicitamente richieste, rischiano di confermare la nostra incapacità di essere rispettosi verso di loro e la nostra difficoltà nel capirli e accettarli pienamente.
Mettiamo pochissimi limiti ai suoi giochi
Spesso ci viene posta la domanda se vi devono essere dei limiti alle loro espressioni durante il “Gioco Libero Autogestito”. In realtà, nella nostra esperienza sono stati veramente pochi i “no” che abbiamo dovuto pronunciare. Raramente siamo dovuti intervenire per scoraggiare un tipo di gioco o di attività che avrebbe comportato un reale e importante rischio per il bambino e per gli altri. Anche perché i comportamenti auto ed etero aggressivi scompaiono rapidamente, appena il bambino avverte una migliore comprensione dei suoi bisogni.
Accettiamo il bambino in maniera incondizionata
Non è assolutamente importante quello che il bambino fa o non fa, ma come egli vive la realtà che lo circonda. Se la realtà attorno a lui è stressante e poco rispettosa dei suoi desideri si accentueranno i comportamenti di chiusura, l’auto ed etero aggressività e le stereotipie. Se egli invece vivrà con gioia l’ambiente e le persone attorno a lui e se avvertirà da queste persone un’accettazione incondizionata di ogni sua parola e di ogni suo gesto, si noterà un rapido instaurarsi di un legame affettivo solido e duraturo con l’adulto e, contemporaneamente, saranno evidenti, come abbiamo potuto osservare in tutti i casi che abbiamo seguito nel tempo, le sue maggiori capacità comunicative, relazionali e comportamentali, non solo con il terapeuta ma anche nell’ambito familiare, sociale e scolastico. L’ipotesi che abbiamo fatto per spiegare questa realtà è che il legame forte e intenso che si stabilisce in questi casi con il terapeuta che utilizza questa metodologia, stimola il bambino ad aprire una breccia nel muro di diffidenza e di sospetto che era stato costretto a costruire attorno a lui come difesa, e ciò gli permette di liberare, finalmente, tutte le energie dell’Io, indirizzandole verso la crescita affettivo – relazionale.
Rispettiamo i suoi tempi
I bambini affetti da Disturbo Autistico sono diversi l’uno dall’altro per età, per composizione genetica, per i vissuti traumatici trascorsi. Sono diversi per il loro retroterra familiare, per la maggiore o minore gravità dei problemi presenti nella loro psiche. Non possiamo allora immaginare dei tempi che siano uguali per tutti. A ognuno di loro dobbiamo permettere di seguire una sua strada, senza mai forzare, senza mai avere fretta di arrivare ad una meta da noi prefissata e programmata. Anche in questo caso essi hanno bisogno del nostro rispetto, più che della nostre conoscenze.
Comunichiamo in modo efficace
Se riusciamo ad attuare quanto abbiamo detto sopra, ci accorgeremo molto presto del grande desiderio, presente in questi bambini, di comunicare e di vivere una relazione. Ma, anche in questo caso dobbiamo riuscire ad accettare in modo pieno ed incondizionato il loro modo di comunicare, senza cercare di imporre loro il nostro. Quest’accettazione non è così semplice come sembra. Per rispettare il loro modo di comunicare dobbiamo necessariamente accettare il fatto che il loro sviluppo psicoaffettivo e relazionale è gravemente limitato e/o disturbato per cui, nei casi più gravi, questo sviluppo si avvicina a quello di un neonato. E se lo sviluppo psicoaffettivo e relazionale del bambino è come quello di un neonato, egli si comporterà come tale: un neonato non guarda ancora sua madre, né le persone che gli stanno vicino; un neonato non parla; un neonato non esegue quanto gli si chiede; un neonato ha gravi carenze nella comunicazione. Egli strilla quando qualcosa non va per il verso giusto e si arrabbia se non ottiene quanto voluto e desiderato in quel momento. Un neonato è emotivamente molto fragile: ride per un nonnulla come piange e si dispera per niente. Per farlo crescere rapidamente e bene comunichiamo con lui allo stesso modo con il quale una buona madre comunica con un bambino appena nato, cioè con grande ascolto ed empatia. Se riusciamo a fare questo siamo già sulla buona strada. Se riusciamo a non imporgli, anzi a non chiedergli nulla o quasi nulla, ma nello stesso tempo ci mettiamo umilmente, ma anche gioiosamente, in ascolto ed in comunione con lui, dopo qualche settimana ci accorgeremo con stupore di quanto egli sia desideroso di dialogare con noi.
Tratto da
Emidio Tribulato "Autismo e gioco libero autogestito"
(Una nuova prospettiva per comprendere e aiutare il bambino autistico) - Franco Angeli Editore.