Tutte le attività espressive: uso della creta, della plastilina, il disegno, la pittura, la musica, il racconto, l’arte drammatica, sono utili al benessere psicologico del bambino, in quanto questi, quando ha la possibilità di esprimersi liberamente, ha anche l’occasione di rivelare a se stesso, prima che agli altri, il suo mondo interiore, fatto di pensieri, sentimenti, emozioni e, contemporaneamente, ha l’opportunità di elaborare le sue profonde emozioni, mentre commenta e fantastica sull’opera effettuata.
L’espressione simbolica ha essenzialmente la funzione di evidenziare, mediante la produzione immaginativa, i propri conflitti e le proprie problematiche, mentre, contemporaneamente, dà la possibilità di liberarsene. In questo senso tutte le attività espressive sono anche terapeutiche, in quanto riescono gradualmente a modificare il comportamento di chi le attua, prima nella finzione e poi nella realtà.
Il disegno e il racconto libero
Con questa tecnica si invita il bambino ad effettuare un disegno, utilizzando soltanto una matita, un foglio di carta e una serie di colori. Si chiede al bambino di disegnare quello che lui desidera e si aggiunge che, se vuole, può colorare il disegno che effettuerà. Si lascia quindi a lui la scelta del soggetto da disegnare e, se desidera colorarlo, si lascia alla sua discrezione la scelta dei colori. Quando il bambino ha completato il disegno gli si chiede qual è il soggetto rappresentato e quale racconto egli vorrebbe costruire, partendo da quanto ha disegnato. Si può aiutare il piccolo a meglio chiarire e sviluppare il contenuto di quanto esposto, mediante alcune domande, ma senza mai intervenire sui contenuti. Per ampliare il racconto e fare emergere i contenuti più interessanti si può chiedere, ad esempio: “Un giorno cosa successe?”.
Questa tecnica che è in genere ben accetta in un’età variabile tra i cinque e i dieci anni, permette un approccio dolce e rispettoso nei confronti del mondo interiore del minore, così da conoscere direttamente quali sono i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue emozioni, le sue paure, mentre, contemporaneamente, permette al piccolo di liberarsi dai turbamenti e conflitti che scuotono il suo animo, comunicandoli ad una persona amica. Una persona amica e degna di fiducia non solo perché il suo intento è quello di dare aiuto a lui, ma anche perché gli dimostra il suo affetto ascoltandolo, senza nulla chiedere, senza nulla pretendere.
Pertanto, proprio per rispettare fino in fondo i desideri e la volontà del minore, nel caso in cui questi non desideri effettuare alcun disegno o non voglia raccontare una storia, si accetta serenamente questa sua scelta.
La musicoterapia
“La musica è ovunque. Senza musica la nostra vita sarebbe come un mondo privo di colori. Fin dalla nascita reagiamo con dei micro-movimenti in risposta ai ritmi, alle cadenze, al succedersi armonico dei suoni. La musica è fuori e dentro di noi. Passa attraverso il corpo e non ci lascia indifferenti. Il nostro organismo è fatto per recepirla, risponderle e capirla (Oliverio Ferraris, 2008)”.
La musica nasce con l’uomo: il bambino, quando inizia a camminare, se ascolta della musica, muove il suo corpo seguendo il ritmo di questa. È innato nell’uomo il piacere di ascoltare, ma anche di fare musica, con gli oggetti più strani e inconsueti. Tanto che sono numerosissimi gli strumenti musicali inventati e poi utilizzati dagli esseri umani, nelle varie epoche e presso i vari popoli.
La musica è un ottimo strumento di comunicazione atto a rinsaldare i legami sui quali si basano le società umane; facilita l’interazione fra i sessi; influenza positivamente l’umore; ha il potere di rilassare o stimolare; procura emozioni ed eccitazione. Pertanto, da sempre, le attività musicali sono state usate in molti momenti della vita umana. La musica è essenziale quando si vuole creare gioia, eccitazione e complicità nei momenti dell’incontro amoroso, come durante il corteggiamento e il matrimonio. Allo stesso modo risulta essenziale nei riti religiosi o per aiutare il dialogo e la comunione con Dio. La musica serve a festeggiare gli avvenimenti più importanti, come gli onomastici, i compleanni, i matrimoni, la raccolta dei frutti della terra. Allo stesso modo tutti i popoli utilizzano, per consolare gli animi, i canti e la musica nelle cerimonie funebri. La musica viene eseguita in guerra per infondere coraggio ai propri soldati e per impaurire gli avversari, ma anche per festeggiare la pace.
D’altra parte tutte le mamme, di ogni epoca e di ogni popolo, hanno utilizzato e utilizzano il canto e la musica, mediante le ninne-nanne, per calmare il pianto del loro piccolo e per favorire il suo addormentamento. Allo stesso modo tutte le mamme di ogni cultura ed epoca hanno utilizzato e utilizzano per i loro bambini i canti e le filastrocche, allo scopo di far ridere o facilitare l’apprendimento.
Fare musica migliora le capacità intellettive. Scrive la Bonfranceschi[1] (2013, p. 21): “I risultati hanno dimostrato come i musicisti precoci, oltre a essere più abili negli esercizi di coordinazione psicomotoria, avevano anche una maggiore quantità di materia bianca nella regione del corpo calloso, un’area che permette ai due emisferi – zone motorie comprese – di collaborare, connettendoli attraverso le fibre nervose”.
Quasi tutti i bambini, pertanto, hanno interesse per la musica. Non è da oggi, quindi, che la musica viene utilizzata come mezzo terapeutico: per rilassare o stimolare; per sviluppare la creatività o per permettere un miglior dialogo con il corpo; per aiutare a liberarsi dalle tristezze e dalle tensioni ma anche per dare gioia, forza, determinazione; per incoraggiare la meditazione e l’introspezione ma anche per permettere una migliore socializzazione ed integrazione con il gruppo dei pari.
Gli scopi delle musicoterapia possono, quindi essere mirati a:
- risvegliare la sensibilità;
- affinare le percezioni sensoriali[2] (Wagner, 2010, p. 26);
- migliorare le capacità intellettive;
- migliorare le capacità di movimento e la coordinazione[3] (Wagner, 2010, p. 28);
- rendere l’attività fisica più divertente e quindi più accetta;
- sviluppare l’abilità dei gesti;
- insegnare al bambino a sentire e ad ascoltare in modo attivo e consapevole;
- esternare i vissuti difficilmente traducibili nel linguaggio verbale;[4]
- evadere dai pensieri più truci e tristi della vita quotidiana;
- stimolare l’immaginazione e la creatività;
- sviluppare lo spirito di gruppo;
- sviluppare il senso dell’ordine e della disciplina;
- ridurre la tensione psichica;[5]
- abbassare la frequenza cardiaca, rallentare la respirazione, alleviare il dolore, ecc.
Le tecniche variano in funzione dei bisogni del bambino, tenendo conto della sua età e delle esigenze del momento. In musicoterapia, in base alle esigenze particolari del minore, si può utilizzare una tecnica collettiva o individuale.
La tecnica collettiva si applica quando il minore è capace di seguire il ritmo del gruppo. Le tecniche individuali sono utilizzate quando il bambino è troppo piccolo o presenta gravi disturbi psichici e quindi non è in grado di seguire il ritmo del gruppo e di integrarsi con esso. In questo caso, il fatto che il bambino si trovi da solo con l’educatore gli infonde tranquillità e sicurezza, poiché si sente immune dalle critiche dei compagni.
In musicoterapia vi sono fondamentalmente due metodi.
- Il metodo attivo. Questo consiste in una partecipazione attiva del soggetto mediante il movimento, l’euritmia, la ritmica, la danza, il canto, i giochi cantati, i girotondi o la pratica di uno strumento. Tra i metodi attivi la ritmica è il sistema più noto. Nella ritmica, che in genere è accompagnata dal pianoforte, la musica e il movimento sono combinati e i loro effetti terapeutici si integrano, si completano e si associano. In molti casi si lascia che il bambino improvvisi dei movimenti sotto l’influenza della musica senza suggerirgli nulla. In altri casi si possono suggerire delle immagini, che il bambino deve eseguire mediante il suo corpo o mediante le note musicali. Nell’euritmia, un altro dei metodi attivi, la musica fornisce i ritmi che stimolano la volontà, placano le emozioni, regolano il movimento, apportano ordine, chiarezza e determinazione. L’utilizzazione dell’uno o dell’altro metodo dipende dal tipo di disturbo da affrontare, ma anche dallo strumento che si vuole utilizzare e dal brano musicale che si vuole eseguire. Il canto ha una triplice funzione: diagnostica in quanto consente di scoprire il carattere e il temperamento del bambino, mediante le diverse sfumature del suo timbro di voce; educativa e terapeutica in quanto il modo con il quale si fanno cantare i bambini può aiutarli a superare le loro angosce e può essere decisivo per la formazione del loro carattere. Il canto mimato è un canto in cui gli atti e le situazioni dei personaggi sono evocati dai gesti, dalla mimica o dalla danza. Questo tipo di canto permette di far emergere la personalità dei piccoli, mentre soddisfa il loro desiderio di azione. Il canto mimato, inoltre, facilita nei bambini lo sviluppo dello spirito d’osservazione, della creatività e dell’iniziativa. I girotondi e i giochi cantati, infine, hanno la funzione di sviluppare l’immaginazione, insegnano il rispetto delle regole e dei ruoli assegnati e favoriscono la coordinazione tra le immagini mentali e i gesti.
- Il metodo passivo utilizza invece soltanto l’audizione della musica. In questo caso si scelgono i brani musicali più adatti, in base agli scopi che si vogliono raggiungere: rilassare, calmare, dare vigore e coraggio, eccitare, infondere gioia ecc.
Gli strumenti
In base agli strumenti utilizzati si possono avere effetti diversi.
Gli strumenti a percussione, come il tamburo, la grancassa, il triangolo, accolgono bene l’aggressività e l’eccitabilità del bambino, pertanto sono indicati quando è presente irritabilità, aggressività e instabilità psicomotoria.
L’uso degli strumenti a corda, come la lira, il violino, il violoncello e l’arpa, a motivo del loro suono molto dolce e armonico, sono usati per migliorare la respirazione e lo stato emotivo del soggetto.
La danza libera, popolare e folcloristica, è particolarmente indicata per i soggetti tristi e malinconici, in quanto infonde gioia e allegria.
Lo psicodramma
Per molti bambini che presentano tratti nevrotici o disturbi psicoaffettivi in senso lato, risultano efficaci tutte le tecniche di drammatizzazione che permettono di liberare, in modo efficace, ed a volte risolutivo, le problematiche che travagliano il loro mondo interiore.
Lo psicodramma analitico è una tecnica psicoterapica introdotta negli anni venti da J. L. Moreno[6] ed ha il vantaggio di rivolgersi e coinvolgere più soggetti contemporaneamente. I partecipanti sono il protagonista, o soggetto; il direttore, o terapeuta principale; gli Io ausiliari e il gruppo. Il protagonista presenta un problema privato o di gruppo; gli Io ausiliari lo aiutano a dare vita al suo dramma personale e collettivo e correggerlo. Ognuno, a turno, propone un tema e vengono distribuiti i ruoli. La composizione del gruppo permette di costituire una famiglia. Per Moreno le esperienze poco gratificanti o chiaramente frustranti, vissute nel passato, non scompaiono ma rimangono a livello inconscio nell’animo dei bambini, pressando, con la loro carica d’ansia, il loro Io. Nello psicodramma tali esperienze possono venire liberate con più facilità, in quanto sono rivissute in un’atmosfera irreale e come di gioco. Per attuare lo psicodramma viene scritto soltanto un canovaccio partendo dai suggerimenti dei bambini, specie di quelli disturbati e viene effettuata una rappresentazione improvvisando le battute.
I ruoli possono e devono cambiare, in modo tale da vivere diverse esperienze. Pertanto lo stesso bambino potrà scegliere di effettuare anche ruoli contrastanti e contrapposti, come contrastanti e contrapposti sono spesso i sentimenti che si agitano nel cuore di ognuno di noi. Solo in un secondo momento viene attuata la razionalizzazione di ciò che si è vissuto nella scena, cercando di dare un perché alle azioni e alle parole.
Lo psicodramma serve in definitiva a:
• comunicare liberamente i propri vissuti interiori;
• far scoprire i sentimenti, per poi controllarli;
• liberare aggressività, collera, rabbia e conflitti interiori.
La psicomotricità
La psicomotricità studia ed educa l’attività psichica mediante i movimenti del corpo.[7] È uno strumento importante nei disturbi psicoaffettivi in quanto, attraverso l'ascolto del proprio corpo che si muove nello spazio, che si rilascia, che si contrae, che pulsa e vive nel mondo circostante, in relazione agli altri e agli oggetti, il bambino esprime e scopre anche le emozioni che lo coinvolgono. Questa terapia investe tutto l’insieme della personalità in quanto, specialmente nell’infanzia, i fenomeni motori sono strettamente legati a quelli psichici. Il controllo sul corpo diventa anche un controllo sulle tensioni interiori. Al contrario, la liberazione delle tensioni muscolari aiuta anche la liberazione delle tensioni interiori, delle ansie, delle paure e dell’aggressività. In tal modo la psicomotricità migliora il rapporto con se stessi, con gli oggetti e con le persone attorno a noi. Questo tipo di terapia agisce sia sul piano psichico, sia sul piano motorio, per cui permette una migliore organizzazione spazio-temporale ed una più vivace e ricca espressione gestuale. Essa favorisce la socialità, la parola, la mimica e, agendo sull’emotività, aiuta a sviluppare una migliore padronanza di sé, una maggiore sicurezza personale, un miglioramento dell’inibizione affettiva.
La rieducazione psicomotoria offre buoni risultati su numerosi sintomi psicoaffettivi: instabilità psicomotoria, iperemotività, autismo, enuresi, tic, ma anche sui disturbi del linguaggio, come la balbuzie. Nei soggetti inibiti, chiusi, impacciati, maldestri si utilizzano esercizi disinibitori come la danza, il canto, lo sport, il gioco. Nei soggetti instabili, ansiosi, irrequieti, nervosi, con difficoltà nell’attenzione e nella concentrazione sono utilizzati soprattutto gli esercizi per l’attenzione, quelli per il rilassamento, e gli esercizi sensoriali. Nei soggetti meno gravi possono essere attuati degli esercizi di gruppo, in quelli più gravi si preferisce un trattamento individuale.
[1] Bonfranceschi A. L., (2013), “La musica fa bene al cervello”, Mente e cervello, n° 100, aprile.
[2] Wagner B., (2010), “Musica per il cervello”, Psicologia contemporanea, Gennaio- febbraio.
[3] Wagner B., (2010), “Musica per il cervello”, Psicologia contemporanea, Gennaio- febbraio.
[4] Galimberti U., (2006), Dizionario di psicologia, Roma, Gruppo editoriale L’Espresso, p. 169.
[5] Galimberti U., (2006), Dizionario di psicologia, Roma, Gruppo editoriale L’Espresso, p. 169.
[6] Moreno in Arieti S., (1970), Manuale di psichiatria, Torino, Boringhieri, p. 1673.
[7] Galimberti U., (2006), Dizionario di psicologia, Roma, Gruppo editoriale L’Espresso, p. 248.