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Caratteristica della madre "cattiva"

16-06-2023 13:19

Emidio Tribulato

Prevenzione, cattive medri,

Caratteristica della madre "cattiva"

Anche i bambini danno un giudizio sulle loro madri.

Caratteristiche della madre “cattiva”

Così come i genitori danno dei giudizi sui figli figli, allo stesso modo possiamo immaginare che anche i figli possano, in cuor loro, dare dei giudizi sui genitori.

Per quanto riguarda le madri che non riescono a soddisfare sufficientemente i bisogni dei loro figli. Per un bambino piccolo una madre è “cattiva” quando:

  • Si assenta eccessivamente, senza tenere in giusta considerazione le ansie e le paure del figlio. Per quest’ultimo è nefasta ogni separazione dalla madre, (Osterrieth, 1965, p. 55)[1] in quanto la sua mancanza lo priva di fondamentali e stabili punti di riferimento. Sappiamo che queste ansie e paure spingono il piccolo ad una situazione di sofferenza e caos per cui, in tali situazioni, tendono a prevalere le emozioni negative. Per Bowlby (1982, p. 51)[2] quando la madre si allontana da lui per qualche tempo, il bambino percorre tre fasi. Nella prima fase (fase della protesta), che può durare molti giorni, il bambino protesta per l’assenza della madre chiedendo di lei, piangendo copiosamente ed andando in collera anche per futili motivi. Nella seconda fase (fase della disperazione) il bambino, poiché si accorge che le sue speranze di far tornare la madre non hanno esito positivo, si calma ma si strugge dal desiderio che essa torni. Spesso queste due fasi si alternano. Nella terza fase (fase del distacco), il bambino sembra essersi dimenticato della madre. Appare disinteressato quando si parla di lei e quando lei ricompare può dare segni di non riconoscerla. In ognuna di queste fasi il piccolo è facilmente soggetto ad eccessi d’ira e ad episodi di comportamento distruttivo, spesso di tipo violento (Bowlby 1982, p. 52).[3] Quando la madre ritorna a casa, per un po’ rimane insensibile e non manifesta alcuna esigenza. Quando crolla si manifestano i suoi sentimenti ambivalenti. Da una parte vi è un aggrapparsi alla madre: quando questa lo lascia anche se per poco tempo, manifesta angoscia e collera intense, dall’altra manifesta verso di lei notevole ira ed aggressività, come a punirla per il suo comportamento. Se però il distacco è stato eccessivo vi è il rischio che il bambino non si leghi più con la madre (Bowlby 1982, p. 52).[4] Se la cura del bambino è affidata ad una persona con caratteristiche nettamente materne, la scomparsa della madre non viene avvertita prima dei tre mesi, in quanto egli non è consapevole delle persone e degli oggetti come entità distinte da lui, successivamente, ma soprattutto dopo i sette mesi, egli ne soffre moltissimo. Verso i quattro anni, quando il bambino è in una fase egocentrica, può addirittura pensare che la madre sia scomparsa perché lui è stato cattivo (Wolff, 1970, p. 8), [5] o ha avuto in passato dei pensieri negativi nei suoi confronti.
  • Modifica frequentemente le sue normali abitudini, senza tener conto che i bambini, come tutti i piccoli degli animali, sono esseri abitudinari. Essi avvertono tranquillità e fiducia solo quando attorno a loro gli avvenimenti si svolgono sempre nel medesimo modo. I cambiamenti, specie se repentini e non adeguatamente preparati, li mettono in ansia e li caricano di paure che, agli occhi degli adulti, appaiono strane ed eccessive, mentre in realtà sono solo la logica conseguenza di comportamenti ed atteggiamenti non adeguati.
  • Compie frequentemente su di lui o fa compiere senza vera necessità dagli altri (medici, terapisti, infermieri, puericultrici ecc.), azioni sgradevoli o dolorose.
  • Vive il rapporto con il figlio con ansia e paura. Una madre ansiosa si allarma troppo spesso e inutilmente. Si allarma se qualche volta mangia poco, non mangia o mangia troppo. Si inquieta se all’ora consueta non fa, come dovrebbe, la sua brava cacchina o ne fa troppa. Ha paura che con il suo seno possa infettarlo e lava e striglia il capezzolo affinché sia perfettamente pulito e sterile, non tenendo conto del desiderio che ha il bambino di soddisfare la sua fame e la sua sete, ma anche di sentire il “sapore e l’odore vero” del corpo di lei. Si angoscia per i motivi più banali: a volte teme che il viso del figlio sia troppo rosso, altre volte che sia troppo pallido. Alcune volte ha paura nel vederlo “troppo sonnolento”, altre volte “troppo sveglio per essere “normale”. La mente inquieta di una madre ansiosa non riesce a distinguere correttamente il confine tra normalità e patologia, tra benessere e malattia, per cui coinvolge il bambino in visite, controlli, terapie e cure assolutamente inutili ma spesso controproducenti per il benessere psicologico suo e del neonato.
  • Avverte il figlio come un estraneo capriccioso e incontentabile, difficile da capire e soprattutto impossibile da soddisfare. ‹‹Cos’altro devo fare per lui: l’ho allattato, l’ho pulito, l’ho cambiato e continua a strillare come un ossesso. Gli do il mio seno e sputa il capezzolo. Gli do il latte e strilla mentre sembra affogarsi. Più lo cullo e più si agita inquieto. No, questo non è un bambino: è un diavolo scatenato››.
  • Al contrario di quanto abbiamo appena detto, può essere estremamente fredda e imperturbabile. Indifferente a tutto ciò che riguarda il figlio. Sorda ai suoi richiami, continua a leggere il libro che l’entusiasma; insiste a vedere nella tv il programma preferito; continua a chiacchierare con le amiche o con chiunque sia disposta ad ascoltarla. A questo tipo di madre importa poco che il figlio dorma o sia sveglio, sorrida o strilli, si agiti o ammiri tranquillo il mondo che lo circonda. Quando è costretta a dargli da mangiare o da bere, quando deve cullarlo per farlo addormentare, lo fa di malavoglia, come un dovere da adempiere, per evitare di essere disturbata troppo dai suoi strilli o di essere incolpata dalla suocera o dal marito di disinteressarsi del bambino. Il suo momento più felice è quando può depositare il figlio in mani altrui, non importa quali. Possono essere le mani del marito, quelle della madre o della suocera, quelle della baby-sitter o della tata. L’importante è che qualcuno le tolga quel peso e quell’incombenza, così che possa ritornare alle sue occupazioni preferite.
  • È rigida nelle cure e nella soddisfazione dei bisogni del neonato: ‹‹Se il pediatra mi ha detto che devo allattarlo ogni quattro ore è inutile che lui strilli: se non sono trascorse le quattro ore io il latte non glielo do››. ‹‹Il pediatra mi ha raccomandato di tenerlo ben coperto e quindi è inutile che lui scalci infastidito dal caldo per cercare di togliersi le coperte che gli ho messo addosso, io continuerò a rimetterle››.
  • Non è capace di leggere i bisogni del figlio, né riesce a comprendere gli oscuri misteri del pianto infantile, per cui non è coerente nei suoi atteggiamenti. Spesso, quando il bambino piange, mette in pratica in maniera altalenante i consigli ricevuti, senza mai essere in grado di capire fino in fondo se ciò che sta facendo sia un bene oppure no, se i suoi comportamenti avranno degli effetti positivi o negativi.
  • Ha notevoli difficoltà ad apprendere dagli errori, pertanto le indicazioni suggerite dagli atteggiamenti del figlio, ma anche quelle espresse dalle persone che la circondano o dai medici consultati, non modificano o modificano molto poco il suo errato comportamento.
  • Si chiede ogni giorno: ‹‹Cosa ho fatto di male per essere nata donna e quindi dover accudire questo mostriciattolo chiamato bambino?››
  • Vede la sua realizzazione in tutto ciò che fa o potrebbe fare, piuttosto che in tutto ciò che vive o potrebbe vivere. Più si adopera più si sente capace e forte. Quando non si occupa di qualcosa si sente depressa, triste, e spenta. Sente perduto irrimediabilmente il tempo trascorso ad occuparsi di cose ‹‹che tutte le donne sono capaci di fare››, proprio per la loro biologia femminile, come mettere al mondo un bambino, allattarlo, pulirlo, vezzeggiarlo. Queste azioni prettamente materne le giudica insulse oltre che noiose ed indegne di una vera donna.

Se dovessimo sintetizzare, potremmo allora dire che una madre è “cattiva” quando non riesce, vuoi per i suoi limiti, vuoi per sue scelte, a soddisfare e vivere con gioia i bisogni fisici e psicoaffettivi del suo bambino. Pertanto la quantità, la durata e l’intensità delle frustrazioni che gli fa subire sono eccessive.

Da quanto abbiamo detto si può concludere che l’appagamento affettivo di un bambino piccolo non si misura solo dalle generiche manifestazioni di simpatia o dalle parole amorose pronunciate nei suoi confronti. La soddisfazione affettiva è fatta di impegno nei confronti dei suoi bisogni fisici e psicologici, impegno continuativo e fattivo, espresso e attuato in un clima d’amore, di gioia, di serenità ed equilibrio (De Negri e altri, 1970, p.143).[6]

[1] Cfr. P. A. OSTERRIETH, Introduzione alla psicologia del bambino, Op. cit., p. 55.

[2] Cfr. J. BOWLBY, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Op. cit., p. 51

[3] Cfr. J. BOWLBY, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Op. cit., p. 52.

[4] Ibidem.

[5] S. Wolff, Paure e conflitti nell’infanzia, Op. cit., p. 8.

[6] Cfr. M. DE NEGRI M. e altri, Neuropsichiatria infantile, Op. cit., p. 143.

Chi è la madre?

Tutti gli studiosi sono concordi nell’affermare che per la crescita serena di un bambino il rapporto con la madre è il più importante e fondamentale. 

Ma chi è la madre nei primi giorni e nei primi mesi di vita del nuovo essere umano? 

Alla nascita il bambino non ha ancora la consapevolezza di qualcosa al di fuori di lui. Non ha ancora lo sviluppo del sé, né ha il concetto di una persona diversa da un’altra. Quando questo qualcosa al di fuori di lui comincia a formarsi e a concretizzarsi (la diade) tutto l’ambiente esterno assume il contorno di ciò che noi chiamiamo “madre”. 

Pertanto la madre buona è fatta dal suo seno caldo da cui sgorga il nutrimento ma anche l’appagamento. 

La madre buona è il suo ventre morbido e accogliente, sono le sue braccia che l’accolgono, cullano e confortano, quando l’angoscia l’attanaglia. 

La madre buona è anche un ambiente pulito e luminoso nel quale non vi sono rumori eccessivi o improvvisi, né tanto meno grida irritate o scoppi di collera. 

La madre buona è un papà che sa cullarlo e proteggerlo e sa accarezzare il suo corpo con dolcezza, sa rendere la sua compagna della vita serena e sicura. 

La madre buona è una nonna o un nonno che dolcemente si relazionano con lui , mentre nel contempo, da consigli e insegna alla puerpera ma anche al nuovo padre, come soddisfare i bisogni del loro figlio, le sue necessita, i suoi desideri, ma anche come sopire i suoi timori e le sue inquietudini. Una madre buona è un nonno o una nonna che si impegna a far capire ai novelli genitori i significati del pianto che sembra sempre uguale in ogni circostanza ma che a poco a poco si differenzia e quindi uguale non è. 

Una madre buona è anche la sensazione che ha il bambino quando tra i genitori vi è reciproco rispetto, benevolenza e disponibilità unita a una calda, serena, intesa. Intesa che egli avverte dalle braccia rilassate e serene che l'accolgono, dal tono della loro voce, dall'attenzione che essi hanno tra di loro. 

 

Allo stesso modo abbiamo il dovere di estendere il concetto di madre cattiva. 

Una madre cattiva può avere anche l’aspetto di una nursery dove i bambini sono accuditi in maniera asettica e formale da personale “specializzato”, ma incapace di relazionarsi in maniera calda e accogliente con i piccoli ospiti, mentre alle madri e ai bambini viene sottratto quel momento magico e prezioso nel quale la loro unione, la loro vicinanza e il loro contatto, avrebbero dovuto portare ad un dialogo proficuo, ad una forte intesa e ad uno stretto legame. Legame indispensabile sia alle mamme sia ai bambini per instaurare ed iniziare bene un comune, proficuo cammino. 

Una madre cattiva può essere un ambiente ospedaliero o di riabilitazione poco attento ai bisogni psicologici dei piccoli. Per Winnicott (1987, p. 75), in alcuni casi le offese sono attuate anche dai medici, dalle infermiere e dal personale che assiste il bambino nei giorni nei quali si trova in una struttura di ricovero. Questo personale, a volte, è più preoccupato della pulizia, della gestione e dell’organizzazione della struttura, che non delle emozioni e sentimenti che si agitano e vivono nell’animo dei loro piccoli ospiti.[1]

Una madre cattiva può avere l’aspetto di un asilo nido dove il personale che si occupa dei bambini non ha le qualità, le capacità e l’amore materno, ma soprattutto non garantisce al bambino quel dialogo, quella continuità, stabilità e comunione che lui va cercando.

Una madre cattiva può essere anche un padre che teme di distogliere attenzione e tempo alle sue mille occupazioni, trascurando in tal modo i suoi compiti specifici di cura nei confronti del figlio. 

Una madre cattiva può avere il volto di una nonna o di un nonno i quali, piuttosto che dare il proprio apporto e la propria vicinanza e assistenza ai genitori e al bambino, preferiscono impegnare il proprio tempo in altre occupazioni, privando il nipotino di quella molteplicità di apporti che avrebbero potuto e dovuto arricchirlo e soddisfarlo.

Una madre cattiva può avere l’aspetto di una famiglia o di due genitori nei quali imperversa la conflittualità, la freddezza, lo scontro e la lotta. Una famiglia nella quale gli atteggiamenti aggressivi, la violenza verbale e non, la diffidenza e l’intransigenza sono frequenti e usuali.

 

Ci sembra giusto quindi ampliare così come hanno fatto molti studiosi prima di noi: Sullivan, Fromm, Horney, Erikson, Haley, il concetto di madre, all’ambiente che circonda il bambino, in quanto è questo ambiente che, in molti casi, condiziona positivamente o negativamente il suo mondo interiore.

Per Lidz (1977, p.28): 

‹‹La famiglia, naturalmente, non è il solo fattore che influenza l’evoluzione del fanciullo. Tutte le società dipendono da altre istituzioni che, al di fuori della famiglia, provvedono al suo processo di acculturazione, e tale esigenza aumenta nella misura in cui la società diventa più complessa››.[2]

Per tali motivi, ogni volta che un bambino viene danneggiato, dobbiamo sentircene tutti responsabili, individualmente e collettivamente, senza scaricare le colpe solo sulle spalle della madre o del padre. Il bambino cosiddetto “disturbato” non è, pertanto, soltanto il frutto di una madre o un padre con problemi, ma è anche la conseguenza di una società malata che direttamente o indirettamente agisce negativamente sui minori.

Dobbiamo, inoltre, necessariamente specificare, che a differenza di noi adulti, il bambino piccolo, non fa, almeno inizialmente, della madre buona o cattiva un problema etico o morale. Per il neonato i comportamenti di chi a cura di lui sono una questione vitale. Se una madre è buona egli ha la possibilità di sopravvivere e crescere bene; se non lo è, vi è il grave rischio che possa essere danneggiato notevolmente nel suo sviluppo fisico e/o psichico. 

Bisogna, inoltre, aggiungere che la stessa persona che cura il neonato, lo stesso gruppo familiare, lo stesso ambiente, possono essere buoni o cattivi a seconda delle circostanze o in momenti diversi. Buoni quando il loro comportamento è confacente ai bisogni del neonato, cattivi quando non lo è. Poiché, come dice Sullivan (1962, p. 110), la madre buona è simbolo di soddisfazione imminente, la madre cattiva è simbolo di malessere e di angoscia,[3] è naturale che il bambino instauri un maggior legame, intesa e disponibilità con la madre buona, mentre reagisce nei confronti della madre cattiva con più irritabilità, inquietudine, aggressività, scarso o modesto legame e dialogo se non con netta chiusura. Per questo motivo, se avverte che al suo richiamo arriva la madre con caratteristiche positive di disponibilità, affettuosità e tenerezza, egli si quieta, ma se arriva la madre “cattiva”, in quanto ansiosa, tesa, irritabile, disattenta o con scarsa disponibilità, egli continua a piangere e si accentua la sua inquietudine. Ciò innesca un circolo vizioso: più la madre trascura o non comprende le necessità del bambino, più il bambino risponde con irrequietezza, pianto, rifiuto dell’alimentazione, disturbi gastrointestinali, diminuzione delle difese immunitarie e quindi con più malattie. Tali malattie e disturbi, a sua volta, mettono in crisi la già scarsa pazienza di questi genitori e familiari, i quali risponderanno con maggiore ansia e nervosismo che si trasmetterà al bambino accentuando i sintomi di malessere. 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" -(Volume unico)

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[1] Cfr. D. W. WINNICOTT, I bambini e le loro madri, Op. cit., p.75.

[2] T. LIDZ, Famiglia e problemi di adattamento, Op. cit., p. 28.

 

[3] Cfr. H.S. SULLIVAN, Teoria interpersonale della psichiatria, Op. cit., p. 110.