Le differenze tra questi due approcci terapeutici sono tante. Esaminiamo le più importanti.
La prima e la più importante differenza, riguarda la o le cause dell’autismo
ABA e le altre terapie comportamentali non si propongono di cercare quali potrebbero essere le cause più remote e profonde dalla quali nasce questo disturbo, così grave e invalidante. Queste tipo di terapie osservano, analizzano, catalogano i comportamenti del bambino, i suoi limiti, le sue difficoltà, in un determinato momento della sua vita, ma non vanno oltre a ciò che, in quel determinato momento, può essere misurato dagli operatori. Pertanto non riescono e non credono sia necessario andare oltre.
Ad esempio, non si preoccupano di capire:
- Perché questo bambino non parla?
- Cosa si agita nella sua mente mentre ha una crisi nervosa?
- Qual è l’origine delle tante stereotipie vocali, motorie e dei comportamenti?
- Perché è carente o totalmente assente il contatto oculare, a volte anche con i propri genitori?
- Che cosa rende loro tanto difficile socializzare con gli altri?
E ancora
- Che rapporto ha questo bambino, con la realtà che lo circonda?
- Cosa pensa di sé e del mondo attorno a lui?
- Perché, molto spesso, ha disturbi del sonno: incubi notturni, risvegli precoci, richieste assurde fatte durante la notte?
Al contrario la terapia affettivo-relazionale cerca di capire le cause più vere e profonde dei sintomi e dei problemi che questi bambini manifestano e si propone di intervenire e di affrontare proprio queste cause.
Le tante esperienze che da tanti anni abbiamo avuto con questi bambini, ci hanno fatto capire che tutti i sintomi e tutti i problemi che li affiggono sono dovuti o si collegano ad un’unica fondamentale causa: “la chiusura in sé stessi”.
Questo comportamento: la chiusura, sappiamo che non riguarda solo i bambini con autismo. Tutti noi, in un momento particolare della nostra vita ci siamo chiusi o avremmo potuto chiuderci nei confronti di una persona in particolare o di una categoria di persone o di un’etnia. A volte, in noi adulti, si tratta di semplice prevenzione e diffidenza. Altre volte è la paura che ci stimola alla chiusura. In altri casi ancora questi atteggiamenti e comportamenti di difesa li mettiamo in atto in seguito ad importanti e dolorose esperienze negative che ci hanno arrecato molta sofferenza.
La prevenzione e la diffidenza verso chi è diverso da noi, ci può spingere ad avere atteggiamenti di chiusura verso chi ha la pelle di un colore diverso dalla nostra, verso chi ha una diversa religione, verso chi ha un’etnia e uno stile di vita diverso dal nostro e così via. Una grave sofferenza provata in seguito a esperienze notevolmente dolorose e frustranti, come i tradimenti, gli abbandoni, le gravi incomprensioni, possono spingerci ad avere atteggiamenti e comportamenti di chiusura nei confronti di persone dell’altro sesso o verso dei sentimenti come l’amicizia o l’amore.
Non dovremmo allora meravigliarci se anche i bambini molto piccoli, quando si trovano di fronte a una o più situazioni molto stressanti o traumatiche attuano dei comportamenti di chiusura.
Cosa comporta la chiusura?
Tutte le chiusure, essendo delle difese, almeno inizialmente danno un senso di maggiore sicurezza ma, nello stesso tempo, comportano anche delle perdite.
Se ad esempio, ci chiudiamo nei confronti di un’altra etnia, di un’altra religione, di persone con una pelle diversa dalla nostra, evidentemente saremo privati degli apporti nuovi e diversi che solo le altre culture, le altre religioni, le altre etnie ci avrebbero potuto offrire. Se ci chiudiamo nei confronti dell’altro sesso, perderemo quella grande ricchezza emotiva e affettiva di cui l’altro sesso e portatore. Ancora peggio se rifiutiamo di lasciarci andare a dei sentimenti molto importanti come l’amicizia e l’amore.
In definitiva, se da una parte le chiusure, tutte le chiusure, almeno apparentemente, proteggono da qualcosa, dall’altra ci privano di qualcosa.
Ma cosa succede quando la chiusura avviene in un bambino molto piccolo? In un bambino la cui personalità non si è ancora sviluppata? In un bambino nel quale ancora non sono maturati i normali sistemi di difesa psicologica?
È evidente che le conseguenze saranno molto ma molto più gravi e devastanti, rispetto alle chiusure presenti negli adulti.
I motivi sono essenzialmente tre:
- Intanto il bambino piccolo che si chiude in sé stesso mette come un muro o un filtro nei confronti non di una persona o di un gruppo di persone, ma nei confronti di tutte le persone e, nei casi più gravi, di tutto il mondo fuori di lui.
- Il chiudersi in sé stessi, ad un’età molto precoce, comporta un blocco parziale o totale dello sviluppo della personalità del bambino, se non anche la regressione a degli stadi di sviluppo che egli aveva superato. Ciò in quanto la l’Io di un bambino piccolo si struttura, si sviluppa e cresce mediante le relazioni con altri esseri umani, con i quali si è stabilito un legame particolarmente stabile, intenso e profondo. Se questa relazione non nasce o viene gravemente disturbata o interrotta, mancheranno a questo bambino gli apporti indispensabili per la crescita affettiva ed emotiva e per lo sviluppo della sua personalità.
- Inoltre, non potranno crescere e svilupparsi tutte le difese psicologhe, che sono indispensabili per affrontare al meglio gli eventi stressanti o traumatici, presenti nella vita di ogni giorno.
La conseguenza di tutto ciò è che questi bambini resteranno psicologicamente ed emotivamente piccoli, fragili, indifesi. Per cui facilmente saranno preda dell’ansia, delle paure e di tutte le altre emozioni negative. La conseguenza di tutto ciò è che avranno grosse difficoltà negli apprendimenti, nelle relazioni.
Questa chiusura è quasi sempre parziale e mai totale. Pertanto è sempre possibile riuscire a fare breccia nel muro che il bambino frappone tra sé e gli altri.
Ma che cosa ci ha fatto portato a pensare che sia proprio questa precoce chiusura a provocare gli svariati sintomi presenti nell’autismo?
Il primo motivo è dato dal constatare che di ciò ne parlano gli stessi adulti con autismo, che sono stati capace di descrivere le loro esperienze. Ad esempio, ne parla la dottoressa Grandin, una donna laureata in veterinaria. Questa donna racconta questo suo bisogno di proteggersi dal mondo esterno, come stare dietro a delle porte di vetro. Lei poteva guardare quello che succedeva fuori, ma sentiva la necessità che qualcosa la separasse e lo proteggesse dal mondo esterno che avvertiva poco propenso ad accoglierla. La dottoressa scrive nel suo libro “Nessuno in nessun luogo”.
“Mentre ero intrappolata tra i pannelli di vetro, era pressoché impossibile comunicare attraverso di essi. Essere autistici è come essere intrappolati in questo modo. Le porte di vetro simbolizzavano i miei sentimenti di distacco dalle altre persone e mi aiutarono a fare fronte all’isolamento”.
Anche un altro autore: Morello, anche lui sofferente di autismo, descrive la sua condizione con queste parole: ‹‹Cupola di vetro sopra laguna ghiacciata è l’autismo chiuso dentro sé stesso››
Questa immagine molto particolare fa comprendere sia il senso di protezione, del quale queste persone sentono il bisogno per riuscire a sentirsi al sicuro, sia la sensazione che essi avvertono di freddo, gelo e solitudine nella quale questa chiusura li costringe a vivere.
Un’altra autrice: William, descrive con ricchezza di particolari le modalità mediante le quali riusciva a ritirarsi in un mondo tutto suo.
“Scoprii che l’aria è piena di puntini. Se guardavo nel vuoto c’erano i puntini. La gente mi passava davanti, ostruendo la mia visione magica del nulla. Io mi mettevo davanti a loro. Protestavano. La mia attenzione era saldamente fissata sul desiderio di perdermi in quei puntini e ignoravo la protesta, guardando dritto attraverso l’ostruzione con un’espressione calma, addolcita dell’essere io persa in quei puntini”.
Questo desiderio di sfiducia nei confronti degli altri e del mondo fuori di loro e il bisogno di protezione, mediante la chiusura, lo notiamo inoltre nei racconti e nei disegni di questi bambini.
Non è da sottovalutare il fatto che è la chiusura, il sintomo principale che ci permette di fare diagnosi di autismo:
- Il bambino non ti guarda negli occhi.
- Ha difficoltà a rapportarsi anche con gli oggetti, che utilizza in modo strano, non usuale, spesso soltanto allo scopo di diminuire la sua ansia interiore o per estraniarsi dal mondo circostante.
- Ha gravi difficoltà nella socializzazione con i coetanei ma anche con gli stessi genitori, che egli impiega soltanto per soddisfare i suoi bisogni: “Ho fame dammi, da mangiare”, “Sono sporco, lavami”, “Ho paura, chiudi la porta”, “Mi piace essere accarezzato…fammi le coccole”, senza tuttavia riuscire a stabilisce una relazione e un legame forte di intesa e fiducia reciproca.
È questo sintomo, la chiusura, che noi notiamo nel suo sguardo assente o scarsamente presente nei confronti della realtà che lo circonda. Allo stesso modo è la scomparsa di questa chiusura che ci permette di dire quando il bambino è uscito dall’autismo. Infine, notiamo che quando scompare la chiusura i se stessi, tutti i sintomi cominciano a regredire, per poi sparire del tutto:
- Il bambino comincia ad acquisire il linguaggio, che si evolve come per tutti i bambini dapprima con parole singole, poi con frasi di due parole e così via, e ciò senza che egli abbia effettuato alcuna terapia specifica.
- Diminuiscono e poi scompaiono le stereotipie, i disturbi del sonno, la selettività alimentare, le crisi d’angoscia. Anche in questo caso senza che il bambini sia stato sottoposto a particolari stimoli o abbia effettuato delle terapie specifiche per le varie difficoltà che presentava.
La domanda successiva che ci siamo posti è se questa chiusura, questo allontanarsi dal mondo esterno e richiudersi in sé stessi, avviene in modo volontario oppure no?
Con molte probabilità, almeno inizialmente, quando il bambino è molto piccolo, questa chiusura avviene in modo istintivo e involontario. Tuttavia, successivamente, viene ad essere provocata e ricercata medianti vari espedienti, al fine di diminuire l’ansia e la tensione interiore e sentirsi più sicuro e protetto. A questo scopo amano far girare le mani in aria, le ruote o un oggetto; oppure si chiudono in una stanza e ascoltano sempre la stessa musica. Inoltre, molti genitori, senza volerlo e senza saperlo, aiutano il loro bambino a ritirarsi in sé stesso, dandogli il tablet o il telefonino con dei video che lui vede e rivede continuamente in maniera ossessiva.
Una seconda differenza riguarda l’approccio al bambino
Nel metodo ABA il bambino è colui che è carente di svariate capacità. Pertanto, è necessario che sia sottoposto a svariati stimoli educativi ed abilitativi.
- non sa parlare…deve sottoporsi a sedute di logoterapia
- non riesce a comportarsi in maniera adeguata…verranno adoperati degli stimoli che lo conducano a comportarsi come conviene.
- Presenta difficoltà nel controllo motorio…deve fare psicomotricità.
- Presenta stereotipie e altri comportamenti problema…attuiamo un programma che permetta di estinguere queste stereotipie e i comportamenti problema.
- Non socializza…è bene che inizi quanto prima un programma di socializzazione.
- Si nota un ritardo globale nello sviluppo…è indispensabile attuare un programma di stimolazione logico – cognitiva.
Nella terapia affettivo – relazionale che utilizza la tecnica del Gioco Libero Autogestito non vi è alcun esercizio da far effettuare al bambino, non vi sono stimoli ai quali il bambino deve essere sottoposto. Anzi, fino a quando il bambino non ha abbandonato la chiusura autistica, i genitori sono caldamente invitati a non attuare alcun intervento educativo o riabilitativo, poiché tutti questi azioni sono avvertite dal bambino come delle odiose imposizioni attuate da adulti poco attenti ai loro bisogni e desideri. E ciò aggrava la sfiducia verso i propri genitori, verso tutti gli altri esseri umani e il mondo fuori di loro.
In seguito alla terapia affettivo – relazionale il bambino acquisisce il linguaggio semplicemente perché liberato dalla chiusura autistica e avendo ora fiducia negli altri nel mondo fuori di lui, ha desiderio di comunicare qualcosa agli altri, ha fiducia negli altri, è felice di parlare con gli altri ed è abbastanza sereno per poter organizzare suoni, pensieri e parole per stabilire una normale comunicazione.
Il bambino abbandona le stereotipie… semplicemente perché ha meno ansia, meno paure, in definitiva è un bambino più sereno che sa ben gestire le sue emozioni.
Il bambino guarda negli occhi gli altri…perché adesso non ha paura, anzi ha acquisito piena fiducia nel prossimo, poiché ha piacevolmente scoperto che gli altri sono buoni e attenti ai suoi bisogni e desideri.
Un’altra differenza riguarda l’attenzione al mondo interiore del bambino.
Per ABA non esistono emozioni e sentimenti ma solo comportamenti da elencare, misurare, stimolare, correggere, inibire.
Per la terapia affettivo relazionale le cause dell’autismo sono di tipo emotivo, per cui il superamento della condizione di autismo deve necessariamente comportare una modifica sostanziale dei sentimenti e delle emozioni presenti nel bambino. In caso contrario il bambino non potrà uscire da questa condizione, anche se potrà acquisire con notevoli difficoltà e in tempi molto lunghi alcune competenze.
Un’altra differenza riguarda gli operatori
In ABA e nelle terapie comportamentali, gli operatori hanno il compito di osservare e studiare i singoli comportamenti del bambino e delle persone che lo circondano, per poi preparare e attuare un programma educativo o riabilitativo ben definito, con degli esercizi specifici per affrontare e risolvere le varie carenze notate nel piccolo.
Nella terapia affettivo – relazionale non vi è nulla di tutto questo.
Questa terapia consiste soltanto:
- nell’aiutare i genitori ha capire i bisogni e i desideri del loro figlio;
- nel creare attorno al bambino un ambiente il più sereno e accogliente possibile;
- nell’aiutare i genitori ad instaurare con il loro figlio o con la loro figlia, una relazione particolarmente dolce, affettuosa, piacevole.
Pertanto, viene seguito nel tempo l’instaurarsi di questo ambiente idoneo allo sviluppo del minore e si cerca di porre attenzione a che cresca sempre di più e sempre meglio un’ottima relazione e un forte legame tra i genitori e il loro figlio.
Quando l’ambiente risulta idoneo ai bisogni e ai desideri del bambino e i genitori sono riusciti a costruire con il loro figlio una relazione ricca e piena, il nostro compito è praticamente finito. Sappiamo ormai per esperienza che da questo ambiente e da questa relazione si svilupperà nel bambino una sufficiente fiducia negli altri e nel mondo fuori di lui, per cui egli abbandonerà la chiusura autistica e, di conseguenza, gradualmente ma anche rapidamente, spariranno i sintomi ad essa correlati.
In definitiva nella terapia affettivo – relazionale sono i genitori che guariscono, con il loro impegno il proprio figlio e non gli operatori, il cui unico compito è quello di suggerire ai genitori e agli altri adulti le modalità migliore per raggiungere questo straordinario obiettivo.
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