Quando pensiamo ai servizi per l’infanzia è naturale immaginare qualcosa che richiede un costo sociale non indifferente a carico dello Stato o dei privati ma che sarà sicuramente utile allo sviluppo fisico e/o psichico del bambino. Insomma, un servizio per l’infanzia dovrebbe aiutare il bambino nella sua crescita: affettiva, intellettiva, motoria e sociale, dovrebbe prevenire i problemi del bambino, dovrebbe curarli, quando essi si presentano o quando la malattia ha lasciato dei postumi o delle disabilità. Tali servizi dovrebbero poter far recuperare ai piccoli, in tutto o in parte, le abilità perdute o menomate. Tutto ciò per fortuna, in molti casi e per molti servizi dedicati all’infanzia, avviene.
Purtroppo però non sempre è così. A volte, per motivi vari, alle buone intenzioni non fanno seguito dei risultati altrettanto validi.
Le cause sono diverse:
- spesso viene proposto un servizio per coprire dei bisogni solo di una parte della società.Ad esempio, viene proposto un servizio per coprire i bisogni economici del paese o peggio i bisogni economici o finanziari di un’azienda, senza preoccuparsi minimamente di quello che avviene nell’animo delle persone che lavorano in quell’azienda e della vita dei loro figli. Ad esempio, viene proposto un servizio che permette ai genitori di essere liberi di lavorare entrambi o di divertirsi insieme, ma, sia quando viene proposto il servizio, sia in una fase successiva, non viene verificato se quel servizio sia stato utile, inutile o peggio dannoso ai minori ma anche alla società nel suo complesso;
- altre volte i servizi hanno una visione molto ristretta dei bisogni dei cittadini e, quindi, hanno delle finalità molto limitate, per cui non riescono ad affrontare la realtà umana nella sua complessità e globalità. Ad esempio, si soffermano a studiare, ad esplorare e a recuperare o curare solo uno o pochi aspetti della realtà del bambino, trascurando tutto il resto. In tal modo rischiano di offrire risposte parziali e, quindi, scarsamente idonee. Per tale motivo può capitare che nel cercare di risolvere un danno o una carenza, complichino o peggiorino la situazione globale del bambino che è a loro affidato;
- in altri casi i servizi, nel reclutare il personale, sono poco attenti alle qualità affettivo–relazionali degli operatori assunti, con conseguente possibile danno per gli utenti;
- inoltre, poiché gli operatori che lavorano in queste strutture hanno dei diritti irrinunciabili: diritto alle ferie; diritto a lavorare per un certo numero di ore; diritto al giorno di riposo; diritto ad assentarsi per malattia e altri eventi straordinari; diritto a cambiare lavoro; i servizi, tutti i servizi, non sono e non saranno mai in grado di offrire le caratteristiche presenti in una normale famiglia, quali la continuità, la stabilità, la costante responsabilità, oltre che un profondo legame affettivo. Quando i servizi pretendono di fare ciò, offrono solo delle promesse che non possono essere mantenute, per cui, molto spesso, peggiorano la realtà interiore del bambino a loro affidato;
- non si può, inoltre, negare che molti servizi facciano di tutto per autoalimentare la loro esistenza, in quanto sono fonte di introiti, occupazione e potere. Per tale motivo, spinti da motivazioni non sempre nobili ed altruistiche, tendono ad ingrandirsi e moltiplicarsi, o cercano in tutti i modi di occupare spazi non di propria competenza, prescindendo dai bisogni reali degli utenti.
L’asilo nido
Uno dei servizi offerti alle famiglie e al bambino è l’asilo nido. Questa istituzione, che dovrebbe sostituire per il bambino che ancora non può frequentare la scuola materna, le mura della sua casa e le cure sia fisiche sia psicoaffettive della sua mamma, del suo papà o degli altri familiari, è sempre più utilizzata dai genitori soli, dalle famiglie dove entrambi i genitori lavorano, ma anche da quei papà e quelle mamme di bambini piccoli con ritardo mentale, autismo e altre patologie invalidanti. Questi vedono nel nido un luogo più ricco di stimoli culturali, linguistici, educativi, rispetto ad una normale famiglia e, quindi, una maggiore opportunità offerta dalle istituzioni pubbliche e private per i loro piccoli. [1]
Negli ultimi anni anche le famiglie nelle quali la donna non lavora e che non hanno bambini problematici bussano alla porta di queste strutture, in quanto sono convinte che l’asilo nido possa dare più di una normale famiglia.
Per tale motivo, da parte di molte componenti della società: famiglie e associazioni, sindacati e politici, medici e amministratori, è sempre più pressante la richiesta di più asili nido, così da soddisfare il “bisogno” di ogni comune, di ogni quartiere, di ogni famiglia e di ogni donna che intende o è costretta a “realizzarsi” nel lavoro. E non importa che questi servizi abbiano un costo notevole. “Se sono utili ai bambini, ai genitori, soprattutto alle madri, al mondo del lavoro ed in definitiva alla società, tali costi vanno affrontati. Se i soldi necessari sono ben utilizzati vanno trovati”.
Abbiamo però il dovere di chiederci: Quanto l’asilo nido è utile al bambino normale? Quanto è adatto al soggetto disabile? Quanto è valido e necessario ai genitori, al mondo del lavoro e alla società?
Se guardiamo questi servizi con occhi superficiali notiamo, almeno nei migliori, la pulizia che spesso regna sovrana, ma anche la bellezza e la ricchezza delle pareti e dei locali nei quali predominano a volte i colori caldi e vivaci della primavera, come il giallo e l’arancione, mentre in altri casi sono più evidenti le tonalità più distensive e serene, come il blu del mare o l’azzurro del cielo. Nel contempo le pareti sono ricche di disegni che si ispirano alla natura: con grappoli di fiori, piante rigogliose o animali e pesciolini variopinti. Altre volte, sulle pareti, sono rappresentati i temi delle classiche favole dei bambini o dei personaggi televisivi più amati, mentre a terra non mancano di fare bella mostra di sé numerosi giocattoli educativi. Il tutto ha lo scopo di inviare ai genitori un messaggio rassicurante sulla qualità del servizio. Per quanto riguarda il personale, se i nidi privati più alla buona, che cercano in tutti i modi di guadagnare e risparmiare, inseriscono del personale raccogliticcio e poco efficace nella cura dei minori in quanto mal pagato, poco motivato e non gestito adeguatamente, le strutture più attente al benessere del bambino, si impegnano a selezionare operatori preparati nel campo pedagogico, psicologico ed educativo. Nonostante ciò, nonostante la ricchezza e lo sfarzo, nonostante la preparazione del personale, quello che si definisce e vorrebbe essere un “nido”, per il bambino che lo frequenta, nido non è.
Non è un nido quello nel quale un cucciolo d’uomo chiama e non vi è una vera madre che risponde al suo richiamo. Le brave pedagogiste, le ottime insegnanti, le preparate psicologhe presenti, non hanno gli occhi di sua madre, non hanno l’odore del suo corpo, non possiedono gli stessi tratti del suo viso, non hanno la tenerezza del suo abbraccio, non hanno il tono carezzevole della sua voce.
Prima dell’ingresso nel nido tra lui e quelle professioniste non si è creato nessun particolare legame affettivo con caratteri di stabilità. Legame questo che crea e mantiene la fiducia reciproca. Quella donna che accorre al suo richiamo non è la stessa dalla quale lui ha preso il latte il primo giorno della sua nascita. Non è la stessa che riusciva a scacciare le paure solo con la sua presenza, solo con il suo sorriso, solo con il suo respiro, soltanto con il tono della sua voce. Non è la stessa e non conosce i piccoli segreti che si sono strutturati già dal momento in cui egli è stato accolto tra le sue braccia: il segreto per farlo sorridere, quando il visino si è fatto triste e spaurito; il segreto per farlo calmare e rassicurare, quando la bufera dell’ansia scuote forte il suo animo; il segreto per farlo alimentare con gioia e soddisfazione, quando nulla sembra essere di suo gusto; il segreto per farlo addormentare felice, quando ha paura di lasciarsi andare tra le braccia di Morfeo. Questa donna, questa ragazza ricca di attestati, lauree, specializzazioni, corsi, master e tirocini non era presente quando, dopo la prima caduta nella quale egli si è fatto male, la sua mamma lo ha accolto tra le braccia e ha trovato in un bacio la medicina più adatta per sconfiggere il dolore e l’umiliazione. Quella donna, quella ragazza non c’era quando la sua mammina ha scoperto il corretto modo di stringere il suo corpo, e le parole più adatte per rassicurarlo quando ha manifestato la paura dell’acqua. Queste nuove donne che si occupano di lui non sanno che ad una certa ora egli ama dormire e guai a svegliarlo e guai a fare il benché minimo rumore. Queste non sanno quanta serenità egli ritrovi nella sua stanzetta quando la luce entra dalle tapparelle appena alzate e bacia lui ed il suo lettino, né conoscono il trauma di essere svegliati dallo strillo acuto e spaventato di altri bambini che, come lui, chiamano a gran voce, incessantemente ma inutilmente la propria madre. Non sanno che lui aveva imparato una cosa fondamentale, che quando la mamma scompare dalla porta, basta un gridolino più forte per farla riapparire, come d’incanto, così da soddisfare la sua fame, la sua sete, il suo bisogno di coccole. Questa donna, anzi queste donne che si scambiano l’una con l’altra, senza tener conto dei legami di amicizia e di amore tra loro ed i piccoli che curano, tutte queste cose, le devono ancora imparare; a sue spese.
Ma soprattutto la sua mamma non scompare per giorni o settimane intere quando è ammalata o quando è in ferie. Anzi, nei suoi confronti, in questi casi, è ancora più presente, per cui è bello ritrovarsi insieme nello stesso letto, come quando da neonato era cullato dal suo respiro. Lei, la sua mamma, non scompare per sempre da un momento all’altro, perché ha deciso di sposarsi, perché deve prepararsi per affrontare gli ultimi esami, perché ha trovato un lavoro migliore: più gratificante, più conveniente, più vicino a casa sua. Lei, la sua mamma, sta con lui per il tempo che vuole, nessuno la rimprovera perché usa il suo tempo con un solo bambino mentre gli altri aspettano le sue cure. Nessuno la richiama se si attarda a coccolare il suo tesoruccio, piuttosto che fare le pulizie. Ma poi che posto è questo nel quale i suoi compagnetti, a differenza del suo fratello maggiore, scompaiono per sempre o ricompaiono da un momento all’altro senza che lui capisca il perché?
In definitiva, l’asilo nido non è un vero nido in quanto:
- Il bambino ha bisogno di una figura materna. Ma non sempre nell’animo del giovane personale femminile adibito nei nidi è maturata questa istintiva e basilare realtà interiore che prescinde e travalica la preparazione professionale. Teniamo presente che ogni cura fisica prestata al bambino ha per lui anche dei risvolti psicologici ai quali bisogna rispondere adeguatamente (Winnicott, 1973, p.14).
- Il bambino ha bisogno della propria madre. La sua serenità e sicurezza interiore sono legate ad una figura ben precisa che ha un suo viso, un suo odore, una sua specifica caratteristica individuale che la distingue da tutte le altre donne.
- Il bambino ha bisogno di una persona con la quale si sia stabilito un legame d’amore reciproco. Per Winnicott:[2] “Il modo di trattare un bambino molto piccolo è al di là del pensiero cosciente e delle intenzioni. È qualcosa che diviene possibile solo grazie all’amore. Talvolta affermiamo che il bambino piccolo ha bisogno di amore, ma quello che intendiamo dire è che solo qualcuno che lo ama è in grado di appagarne i bisogni e di graduare il mancato appagamento in base allo sviluppo della capacità da parte del bambino stesso di utilizzarlo positivamente”. Questo legame d’amore tra il bambino e il personale del nido è molto difficile che si instauri in quanto mancano i presupposti indispensabili, dati non solo dal legame di sangue ma anche dalla diversa responsabilità e ruolo esistente. Il bambino ha bisogno che questo legame sia stabile e non venga mai tradito da lunghi periodi di lontananza fisica. Le esperienze passate del bambino rivestono un ruolo vitale per lo sviluppo e continuano ad influenzarlo, pertanto bisognerebbe garantire, per quanto possibile, che ogni bambino riceva cure regolari sempre dalla stessa persona. In caso contrario in lui si manifestano collera e rabbia oltre che ansia e angoscia. E ciò è impossibile garantirlo per le necessità personali e per i diritti sindacali di ogni lavoratore.
- Il bambino ha bisogno di una madre che abbia con lui effettuato un cammino e un percorso. Una madre con la quale ha maturato reciproche esperienze ed intese.Una madre che cresca ed impari insieme al suo bambino. E ciò è molto difficile che possa avverarsi con il personale di un’istituzione.
- Il bambino ha bisogno di una figura di riferimento principale. Se questa figura cambia nel tempo, non si riesce a stabilire un legame profondo. Ma anche quando si concretizzassero i fattori più favorevoli, per cui questo legame e questa intesa dovessero diventare realtà, saranno legami ed intese destinate a spezzarsi dopo pochi anni o pochi mesi, con conseguente frustrazione e dolore per tali perdite. Mentre, durante la frequenza di questa istituzione, non potranno mancare i sensi di colpa e i conflitti che nasceranno dalla difficoltà di vivere con chiarezza ruoli e realtà diversi e contrastanti. Se il bambino si lega con un legame forte e speciale alla “zia” del nido, tradisce il legame precedente con la propria madre. Se, al contrario, permane in lui il legame con la propria madre, nonostante la frustrazione di essere ogni giorno, a volte per anni, allontanato dal proprio ambiente familiare per essere portato in un luogo sconosciuto, in compagnia di coetanei e di adulti sconosciuti, gli sembrerà di fare un torto alla persona che nel nido si occupa di lui con amore ed affetto, come fosse una madre vera.
Per Winnicott:[3] “Riconosciamo che il gruppo adatto al bambino ai primi passi è la sua famiglia; e sappiamo che sarebbe un disastro per il bambino di prima infanzia se si rendesse necessaria un’interruzione nella continuità della vita familiare”.
E ancora lo stesso autore:
“Da parte mia sono convinto che la parte tecnica della cura del bambino possa essere insegnata e persino appresa attraverso i libri, ma che la capacità di comportarsi come una madre nei confronti del proprio bambino, sia del tutto personale e che nessuno sia in grado di assumersi tale compito e svolgerlo altrettanto bene della madre stessa”.[4]
Per Wolff:[5]
“Tutti questi studi indicano che durante i primissimi anni di vita i bambini hanno bisogno di qualcosa di più di un ambiente stimolante e di possibilità di scoprire le cose e di giocare: essi hanno anche bisogno di un rapporto continuato con una persona che li cura come una madre, che sa rispondere ai loro bisogni individuali e che è in grado di agire come fonte di continuità dell’esperienza che i bambini stanno facendo”.
E ancora Wolff [6]:
“In sintesi, possiamo dire che fra i sei mesi e i tre anni di vita il futuro sviluppo emotivo ed intellettuale del bambino dipende dagli stimoli e dalle cure affettuose della gente che gli è familiare e che conosce i suoi specifici tratti e bisogni individuali (...)la perdita della madre, specialmente se ad essa fa seguito l’affidamento a una istituzione impersonale, tende ad avere conseguenze nocive di lunga durata e forse permanenti.
Per Osterrieth:[7]
“Bisogna ricordare tuttavia che il nocciolo della vita infantile, a questa età, è di ordine affettivo familiare, e che se il bambino trae grande vantaggio dalle attività regolate, a contatto con gli altri, la sua personalità in formazione ha altrettanto bisogno di solitudine, di tranquillità, e di attività autonoma: “pasticciando” nel suo angolino con i suoi tesori personali, egli fa importanti scoperte e impara ad agire senza essere sempre motivato o guidato dagli altri”
Per Spiegel (in Arieti)[8]:
“Abbiamo visto come l’emergere del linguaggio sia integralmente legato alla funzione materna. La reciproca relazione tra madre e bambino è essenziale non solo per l’apprendimento, ma anche per la strutturazione della personalità di quest’ultimo, che dipende in larghissima misura dalla comunicazione interpersonale”.
Per Pellegrino e Sentiello[9]:
“Il quadro attuale è quello di una rete familiare fortemente atrofizzata, i cui componenti più giovani passano poco tempo con i genitori, sono allevati da figure esterne all’ambito familiare, o trascorrono gli anni della loro giovinezza in più famiglie, dato che i divorzi portano al formarsi di coppie in cui solo uno degli adulti è genitore del figlio con cui convive. Questo è in contrasto con le tradizionali teorie della psicologia dell’età evolutiva e dell’apprendimento, che considerano fondamentali per lo sviluppo dei figli l’apporto fornito dai genitori e il loro ruolo all’interno della famiglia”.
In conclusione pensiamo che questa istituzione, che per sua natura non può rispondere adeguatamente ai bisogni di un bambino piccolo, dovrebbe essere utilizzata solo per brevi periodi di emergenza quando, per gravi motivi contingenti, non è possibile ad una madre essere vicina in modo stabile al proprio bambino e non sono assolutamente utilizzabili altre opzioni: nonni, altri familiari, oppure la presenza stabile di una tata affidabile e con buone caratteristiche materne.
L’asilo nido ed i bambini con disabilità fisica
Non ci appare assolutamente utile, inoltre, l’inserimento in un asilo nido dei bambini disabili affetti da malattie organiche come la paralisi cerebrale infantile, il ritardo mentale, l’epilessia, i disturbi del linguaggio e così via, in quanto questi bambini con problemi di natura organica hanno bisogno che siano soddisfatti tre tipi di necessità.
- La prima è quella di ricevere stimoli abilitativi o riabilitativi in quantità maggiore rispetto a quelli proposti ai bambini normali.
- La seconda vuole che a questi bambini siano offerti stimoli qualitativamente migliori: più incisivi, più graduati, più vari e più interessanti, rispetto a quelli offerti ai bambini normali.
- La terza necessità impone che questi stimoli, quantitativamente e qualitativamente migliori, siano proposti rispettando i bisogni affettivo–relazionali dei minori E quindi vuole che siano proposti al momento giusto, nel modo giusto, in un clima di piacevole gioco, di intesa reciproca, di dialogo intimo e di ascolto dei bisogni affettivi del bambino. In caso contrario, non solo questo tipo di stimolazioni: non importa se di tipo intellettivo, cognitivo o motorio, risulteranno scarsamente efficaci, ma altresì vi è il rischio di aggiungere alla disabilità organica una disabilità psichica, che aggraverebbe di molto la realtà interiore del bambino e le sue future possibilità di socializzazione e d’integrazione sia all’interno della sua famiglia sia nel rapporto con gli altri coetanei.
Queste tre necessità difficilmente possono essere soddisfatte in una struttura, come l’asilo nido, in quanto non solo non vi è del personale particolarmente preparato a questo tipo di stimolazioni o di attività riabilitative, ma, soprattutto, non vi è un ambiente idoneo dal punto di vista affettivo–relazionale.
L’asilo nido ed i bambini con problemi psicoaffettivi
Per quanto riguarda i bambini affetti da problematiche psicoaffettive, che si manifestano con sintomi come le paure, i disturbi dell’attenzione, l’iperattività, l’aggressività, i disturbi della condotta, ecc., questi bambini, già provati e affettivamente traumatizzati, rischiano di aggravare la loro condizione in quanto il legame difficile, patologico, scarso o assente con i genitori, può peggiorare a causa dell’ulteriore sofferenza e frustrazione dovute all’inserimento in un asilo nido. In realtà, alle esperienze negative precedenti: di non essere ben capito, accettato, curato da parte dei suoi genitori o della sua famiglia, si rischia di aggiungere una nuova e traumatizzante esperienza. Per un bambino che già vive tormentato dalle ansie, dalle paure, dai conflitti e dalle tristezze, acquista un significato ben preciso di segno negativo, l’essere allontanato dal suo ambiente naturale, dalla casa, dalla stanza e dagli oggetti che gli procurano un minimo di serenità, per essere inserito, senza tener assolutamente conto dei suoi bisogni, in un luogo sconosciuto, con altri bambini e altri adulti altrettanto sconosciuti, i quali non sono in grado di mitigare i suoi problemi, le sue ansie e le sue paure. Ai suoi occhi e al suo cuore questo comportamento dei genitori conferma la sua sensazione di non essere un bambino buono, bravo, desiderato e degno d’amore. Pertanto, la necessità di allontanarlo dalla sua famiglia, può avere ai suoi occhi il valore di una punizione per i suoi pensieri negativi o i suoi comportamenti da bambino “cattivo”. Ancora più problematico ci appare l’inserimento in asilo nido di un bambino con gravi disturbi, come potrebbe essere un bambino affetto da autismo o da regressione psicotica. Per questi bambini nei quali le ansie, le paure sono notevoli, mentre sono intensi il sospetto, la diffidenza e il rifiuto verso il mondo esterno, l’inserimento in un luogo sconosciuto, ricco di tensione, a causa delle grida o dei pianti di tanti altri bambini, risulta ancora più doloroso e traumatico.
Una buona gestione della prima infanzia vorrebbe che, fino ai tre-quattro anni, i piccoli senza particolari problematiche restino con la propria mamma o con il proprio papà, nel proprio ambiente familiare e, quindi, nella propria casa, con i propri giocattoli, circondati da persone, oggetti e spazi ben conosciuti. Solo se ciò non fosse assolutamente possibile, in subordine a questa ideale organizzazione familiare, i bambini piccoli potrebbero essere affidati ai nonni o agli zii. In ogni caso, l’affidamento ad una tata affettuosa, stabile, capace di ben relazionarsi con i piccoli, è sicuramente una soluzione migliore rispetto all’asilo nido. Come abbiamo detto questa istituzione, a parer nostro, dovrebbe rimanere come ultima possibilità e per un tempo molto limitato.
Queste scelte sono ancora più valide per quanto riguarda i bambini con problemi di tipo organico. In questi casi i genitori, resi ben consapevoli della problematica del figlio da parte di uno specialista e ben addestrati sulle modalità migliori per affrontarle, sono il supporto più prezioso che il bambino possa avere. Per quanto riguarda i bambini con problematiche psicologiche, tali problematiche andrebbero diagnosticate e chiarite da idonei specialisti i quali, se è il caso, consiglieranno ai genitori la presenza nella loro casa, per un certo periodo, di una figura ben qualificata sulle problematiche relazionali e psicologiche, che avrà il compito di aiutare i genitori a meglio comprendere e meglio affrontare la patologia del figlio utilizzando gli approcci e le tecniche più opportune.
Tratto dal libro di Emidio Tribulato "Il bambino e l'ambiente" -(Volume unico)
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[1] Il 40% dei piccoli frequenta l’asilo nido per 40 - 49 ore la settimana, il 31,2% per 30 - 39 ore e il 21,4% per 20 - 29 ore settimanali.
[2] Winnicott D.W., (1973), Il bambino e la famiglia, Firenze, Giunti e Barbera, p. 15.
[3] Winnicott D.W., (1986), Il bambino deprivato, Milano, Raffaello Cortina Editore, p. 242.
[4] Winnicott D.W., (1986), Il bambino deprivato, Milano, Raffaello Cortina Editore, p. 144.
[5] Wolff S., (1969), Paure e conflitti nell’infanzia, Roma, Armando - Armando Editore, p. 34.
[6] Wolff S., (1969), Paure e conflitti nell’infanzia, Roma, Armando - Armando Editore, p. 36.
[7] Osterrieth, P.A., Introduzione alla psicologia del bambino, Giunti e Barbera, Firenze, 1965, p. 136-137.
[8] Arieti S., (1970), Manuale di psichiatria, Torino, Boringhieri, p. 2117.
[9] Pellegrino A., Santinello M., (1998), “La formazione dei genitori sulle competenze educative: i risultati di un’esperienza”, Difficoltà di apprendimento, 4, p. 541.