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Il lavoro, le attività sociali e gli impegni educativi

21-05-2023 09:28

Emidio Tribulato

Prevenzione, educazione e lavoro,

Il lavoro, le attività sociali e gli impegni educativi

Quanto incidono il lavoro e le attività sociali sui normali impegni educativi.

 

Le cause più frequenti dell’allontanamento dei genitori dai compiti educativi sono, nel mondo occidentale, rappresentate dai normali impegni lavorativi e sociali.

Questo tipo di “normalità degli impegni” fa notevolmente aumentare il numero di “orfani bianchi.” Sono questi i figli di genitori che, pur convivendo sotto lo stesso tetto, sono talmente assorbiti dalle attività esterne, da non riuscire a dare una presenza continua, costante ed efficace. Per questi genitori le possibilità educative diventano difficili, rare e saltuarie.  

Il lavoro in città diverse

Tradizionalmente era il lavoro dell’emigrante che provocava ciò. Attualmente, a questa motivazione classica, si è aggiunto l’impegno lavorativo dei genitori in città o regioni diverse. Non sono rare le famiglie in cui i due genitori vivono in città poste a centinaia di chilometri l’una dall’altra, in quanto, ognuno di loro, sente di avere diritto alla realizzazione lavorativa: “Ho studiato per vent’anni, mi sono sacrificato per ottenere questo posto di lavoro, non intendo rinunciarvi, anche se si trova in una città diversa da quella dove risiede la mia famiglia”. I diritti individuali spesso prevalgono su quelli familiari. 
 

In altri casi è la speranza di un maggior benessere economico a spingere verso queste scelte: “Perché rinunciare alla promozione?” “Perché rinunciare ad un lavoro più remunerativo?” In molti casi non si può parlare di pendolarismo, ma l’assenza assume per i figli caratteri simili a quelli dell’emigrazione.

I figli rivedono il genitore lontano per lavoro, solo il sabato e la domenica o occasionalmente, addirittura solo durante le grandi festività: a Natale, a Pasqua o nel periodo delle ferie estive.

Il genitore con cui vivono, in genere la madre, coadiuvata dai nonni materni, è costretta ad assumersi quasi tutti gli oneri e le responsabilità formative. La famiglia si costruisce pertanto attorno ad un’unica figura: la madre, tranne che questa non venga assorbita più o meno completamente nel nucleo originario. In questo caso assumono maggior rilevanza affettiva i nonni.

Le conseguenze educative

•    I figli sono costretti a subire la situazione presente nelle famiglie monogenitoriali, in cui vi è l’assenza di uno dei genitori, soprattutto il padre.

•    Questi, d’altra parte, non riesce, nei rari momenti in cui è presente, ad assumere un ruolo educativo coerente, lineare e stabile. Il più delle volte si limita a fare la parte del papà buono che, per motivi di lavoro, è costretto a vivere lontano dai figli, ai quali non può dare un normale apporto educativo, ma che può colmare di regali ogni volta che ritorna a casa.

•    Spesso, la separazione porta nei coniugi uno scollamento nel rapporto coniugale, a causa di gelosie, tradimenti, alleanze patologiche. La gestione della famiglia diventa di esclusivo appannaggio della madre e dei nonni, soprattutto di quelli materni.

•    La coppia, inoltre, è costretta a subire, più facili stimoli al tradimento “consolatorio” da solitudine e bisogno affettivo e sessuale non soddisfatto; con conseguenze traumatiche sul futuro stesso della coppia e della famiglia.

•    Queste famiglie, a volte, vanno in crisi allorquando il genitore lontano, o perché ha raggiunto l’età della pensione, o perché ha ottenuto l’avvicinamento, ritorna a vivere insieme alla famiglia. La causa di ciò è dovuta a difficoltà di adattamento dei coniugi e dei figli nel vivere un ménage familiare cui non erano abituati. Spesso il genitore che ritorna lamenta di essere trattato da estraneo, non si sente partecipe nelle decisioni. I figli, a loro volta, avvertono i suoi interventi educativi come un’illecita intrusione in quanto dentro il loro animo alberga spesso il risentimento per le sue prolungate assenze.                                                

 

Il lavoro nella stessa città

Anche il lavoro nella stessa città, negli ultimi decenni è diventato causa d’allontanamento e scollamento del nucleo familiare.

Oltre che un problema di quantità, il lavoro può creare problemi nella qualità della relazione.

Esso, infatti, può creare un coinvolgimento emotivo nella persona, occupando i suoi pensieri, prelevando buona parte delle sue energie, impegnando la volontà oltre i limiti accettabili dagli altri doveri e compiti, come quelli di padre e di madre, di marito e di moglie. 

Spesso è il datore di lavoro che chiede e pretende dal lavoratore, non una parte ma tutte o quasi le sue energie, la sua fantasia, il suo interesse, in modo tale da rendere l’impegno di questi sempre più produttivo. Queste richieste, non solo sono viste come sacrosante, ma anzi viene bollato di discredito il lavoratore che si occupa e preoccupa molto dei doveri familiari e coniugali, i quali vengono giudicati come esigenze sociali accessorie.

Ciò può accadere sia per gli uomini che per le donne, sia per il padre che per la madre; quando è coinvolto però solo un genitore, la presenza dell’altro accanto alla famiglia, ai figli, nella casa, porta ad una divisione dei compiti sociali. Uno dei due si assume il compito di produrre ricchezza materiale, l’altro il ruolo di produrre ricchezza affettiva, relazionale, educativa. Allorquando invece sono entrambi i coniugi coinvolti, la società, la famiglia, i figli, possono risentirne in maniera grave.

Viene, infatti, “prodotto” solo benessere materiale, mentre la povertà affettiva, relazionale, educativa, invade i singoli ed i gruppi. In definitiva, quindi, tutta la società diventa più povera.

Le reazioni di persone coinvolte in maniera pesante ed eccessiva nel lavoro intra o extrafamiliare, sono abbastanza note: l’individuo vive, pensa, respira, in funzione di ciò che deve fare, in funzione degli impegni e delle realizzazioni che ha in mente.

Tende ad estraniarsi dal coniuge, dai figli, dagli amici e dalle relazioni. Naturalmente questa pressione e stress psicologico, ha bisogno di momenti di compensazione e di fuga. Momenti che però non sono vissuti in maniera fisiologica, ma in modo eccessivo e stressante.

Per tale motivo accanto ad ore e giorni di frenetica attività, si alternano soprattutto nei giorni canonici come i sabati, le domeniche, o le notti, momenti di divertimento frenetico o di completo riposo nella speranza di recuperare e di riacquistare quanto perduto o assorbito nelle attività lavorative.

Se sul piano della tensione nervosa si recupera qualcosa, ciò produce però degli effetti negativi sulle relazioni. Queste vengono vissute in modo superficiale o nevrotico. E’ difficile l’ascolto, ed è ancora più difficile un intervento sereno e mirato al superamento dei problemi che di volta in volta si presentano.

La persona si impoverisce sempre di più, tende ad entrare in crisi ed ad accusare non colui o quella cosa che gli ha sottratto energie, ma gli altri: il marito, la moglie, gli amici, di non riuscire ad entrare in sintonia, di non riuscire a comprenderla o ad avere normali rapporti.

E’ un circolo vizioso che allontana sempre di più l’individuo da se stesso, dagli altri, dalla società.

Mentre inizialmente questo coinvolgimento è funzionale ad un miglior rendimento lavorativo, successivamente, anche il lavoro ne risente, ne soffre, ne paga lo scotto: la persona privata del suo equilibrio psicologico ed affettivo non riesce a dare e produrre quanto produceva prima. Riesce a dare poco e male, il numero degli errori aumenta e anche il rendimento diminuisce progressivamente.

L’impegno sociale

Accanto alle attività lavorative ve ne sono altre apparentemente di grande spessore umano e sociale che però, sommate alle prime, producono risultati analoghi, sono le militanze sociali, politiche o religiose.

Succede a volte, e la cosa potrebbe essere comica se non fosse tragica, che mentre siamo occupati con passione ed impegno a risolvere i problemi e le difficoltà degli altri: coppie con problemi, bambini, anziani, handicappati, svantaggiati, ecc. va alla malora la nostra vita di coppia, trascuriamo i nostri figli, lasciamo soli i vecchi genitori.

Siamo soprattutto occupati a “fare”, non importa che cosa e dove, l’importante e che sia un “fare”, gratificante e qualificante fuori della propria famiglia, mentre siamo poco o nulla disponibili alla cura, all'ascolto, al dialogo con le persone che sono a noi più vicine, con le persone verso le quali dovremmo avere degli obblighi e dei doveri ben precisi.

Altre volte, e ciò avviene sempre più frequentemente, nelle ricche e opulente società occidentali, sono impegni sicuramente più futili o ludici come la cura della propria bellezza: la palestra, la piscina; oppure le cene con gli amici, i giochi, i balli ad occupare papà e mamma.

Queste ed altre attività similari, vengono però avvertite come molto importanti per la propria vita e per la realizzazione personale. Sono sentite come “bisogni” imprescindibili del corpo e della mente, quindi non si riesce a rinunciarvi o a limitarle.

I motivi di ciò vanno ricercati nell’alienazione di una società che continuamente stimola, per motivi economici a vivere senza mai accontentarsi di ciò che si ha e che si è. E’ la nostra una società basata sui beni di consumo, che spinge a comprare e consumare sempre di più, con la vana promessa di raggiungere in questo modo la felicità. E’ una società che stimola a migliorare il proprio aspetto nella prospettiva e nella speranza di sentirsi meglio. “Se sei triste e insoddisfatta è perché il tuo naso è troppo grande, il tuo seno troppo piccolo, i tuoi fianchi troppo larghi; per sentirsi meglio basta mettersi nelle mani di un chirurgo che penserà a stringere, allargare, sostenere, modellare e quindi insieme alla bellezza ti darà serenità e gioia.” E’ una società che invita al divertimento ed al piacere nella chimera di raggiungere piena soddisfazione personale.

Giacché le promesse restano solo promesse, gli inviti alla ricerca del benessere, mentre si vive nel malessere, diventano sempre più numerosi e si prolungano all’infinito.

S’innesca allora un circolo vizioso: si è invitati a superare lo stress del lavoro e della vita quotidiana acquistando di più e spendendo di più > per spendere di più e consumare di più sono necessari più soldi e più lavoro > impegnandosi di più nel lavoro aumenta lo stato di malessere e di disagio; si ritorna al punto di partenza in una spirale senza fine.

 

CONSEGUENZE DEL DEFILARSI DALL’ATTIVITA’ EDUCATIVA

 Il defilarsi per motivi più o meno importanti dall’attività educativa e di accudimento comporta inevitabilmente una delega sempre maggiore verso gli “altri.” Per l’uomo e quindi per il padre l’altro è la madre, in quanto la donna viene vista come la persona più capace di cure e di relazioni con i bambini e più efficiente nella gestione della casa. Per la donna “l’altro”, che si dovrebbe impegnare maggiormente è sicuramente il papà, in quanto tende a trascorrere più tempo nel lavoro e quindi al di fuori della famiglia.

Entrambi i genitori sono però d’accordo almeno su un punto, che ad impegnarsi maggiormente dovrebbe essere la scuola e gli insegnanti, in quanto professionisti dell’educazione e quindi pagati per svolgere tale compito! Ma anche i nonni, “ che non hanno nulla da fare”, le baby- sitter, e gli insegnanti di doposcuola, “che sono pagati per questo”.

 A sua volta questi, con il libro di psicologia e pedagogia in mano, si difenderanno dicendo, giustamente, che l’attività educativa deve svolgersi soprattutto in famiglia e che gli insegnanti hanno un compito di supporto a completamento dell’attività  dei genitori e nel frattempo affidano il bambino con problemi ad un’insegnante di sostegno o all’équipe psicopedagogiche scolastiche, le quali, a loro volta o cercheranno di stimolare la scuola ed i genitori, “ad un maggior impegno” o affideranno il bambino ad uno specialista per una psicoterapia “ che cercherà di risolvere i suoi problemi”
                                                  
Ma intanto il bambino continua a rimanere solo. Solo con i suoi dubbi e le sue perplessità. Solo con i suoi timori, le sue insicurezze i suoi bisogni non soddisfatti.

BISOGNO DI UNA PRESENZA ATTIVA DEI GENITORI

La necessità in quantità e qualità di presenza dei genitori è insita nella specie, non varia, né è sostanzialmente modificabile, se non in tempi lunghissimi, al variare dell’ambiente o della società.

La necessità di dialogo, di affetto, di comunicazione, di rapporto con le figure genitoriali, di un bambino del duemila, non è, nelle sue qualità fondamentali, molto diversa da quella di un coetaneo dell’età della pietra.

D’altra parte, la probabilità che si creino paure, ansie, insicurezze se questi bisogni fondamentali non sono soddisfatti pienamente, è sostanzialmente uguale.

E’ necessario quindi che le persone che si occupano di bambini seguano la fisiologia dello sviluppo, senza mai forzarla o contrastarla. In caso contrario, lo scotto da pagare può inizialmente essere soltanto un più o meno grave vissuto di disagio, che però, a lungo andare, può avere nella sua vita futura, delle conseguenze invalidanti, come una nevrosi, un disturbo del comportamento sociale o, nei casi più gravi, una psicosi. “ Una risposta incompiuta ai bisogni infantili da parte dei genitori tende a mantenere immodificate nel tempo le richieste affettive del figlio, prolungando una condizione di profonda dipendenza emotiva che ostacola la costruzione di relazioni adulte.” 

Tratto dal libro di Emidio Tribulato "L'educazione negata Edizioni E.D.A.S.